Il
Catasto
onciario di crispano (1754)
(a
cura di Bruno D’Errico)
Con
l’istituzione nel 1741 da parte di re Carlo di Borbone del
cosiddetto “catasto onciario”, fu tentata l’introduzione nel
Regno di Napoli di un più moderno sistema di tassazione della
proprietà e dell’industria. Permanendo però privilegi e
sperequazioni, in particolare i beni feudali non erano tassati, mentre
i beni ecclesiastici pagavano la metà delle imposte stabilite,
restando però esente da pesi il cosiddetto “patrimonio sacro”, il
catasto onciario si rivelò un sostanziale fallimento, almeno dal
punto di vista della modernizzazione del sistema fiscale del regno.
Tra
le sacche di privilegio, ci fu l’esenzione per gli abitanti di
Napoli e dei suoi casali dal pagamento della tassa catastale e quindi
dall’obbligo di “formare” il catasto. In tutto il resto del
regno le università ()
furono tenute ad una serie di adempimenti per l’istituzione del
catasto e la ripartizione dell’imposta, che variava a seconda della
specie di possessori di beni, i quali furono distinti nelle seguenti
classi: 1) cittadini, vedove e vergini; 2) cittadini ecclesiastici; 3)
chiese e luoghi pii del paese; 4) bonatenenti (ossia possessori di
beni) non abitanti; 5) ecclesiastici bonatenenti; 6) chiese e luoghi
pii forestieri.
Il
catasto fu detto onciario perché per la valutazione dei beni da
sottoporre a tassazione venne introdotta l’oncia (),
che era una antica moneta in uso nel Regno di Napoli fino all’epoca
dei re aragonesi, ma non circolante più da alcuni secoli.
Tra
le sperequazioni sancite dal nuovo sistema restava quella tra le
persone che vivevano di rendita, alla maniera dei nobili, e quelle che
esercitavano mestieri manuali: i primi venivano tassati per i soli
beni, mentre i secondi erano tassati in base ad un reddito presuntivo
assegnato a seconda del mestiere. Il capitale investito nel commercio
era invece tassato prefissando un reddito sul 10% del capitale, quello
investito nell’agricoltura sul 5% del capitale.
In
particolare, poi, siccome dal reddito tassabile si potevano dedurre i
pesi chiamati accidentali, ossia le spese di manutenzione e
riparazione, i ricchi proprietari erano avvantaggiati, spesso anche
con frodi o favoritismi, nelle deduzioni, non potendosi sempre
accertare con sicurezza la reale consistenza delle suddette spese.
Per
la formazione del catasto tutte le università del Regno, ad
esclusione di Napoli e dei suoi casali, esenti dalla tassa catastale,
furono tenute alla elezione di deputati ed estimatori incaricati della
redazione degli atti preliminari
al catasto e dell’apprezzo,
ossia della valutazione dei beni.
I
cittadini e tutti coloro che possedevano beni in un centro abitato
erano invece tenuti alla redazione della rivela,
una vera e propria autocertificazione nella quale, oltre a riportare
tutti i componenti della famiglia con le relative professioni,
venivano indicati i redditi e gli eventuali pesi deducibili ai fini
del calcolo della base imponibile.
Al
termine della raccolta delle rivele,
sostituite da valutazioni dei deputati ed estimatori in caso di
mancata dichiarazione, veniva steso il libro del catasto, nel quale
era riportato il calcolo della tassa a carico di ciascun nucleo
familiare.
Il
catasto onciario di Crispano risale al 1754, ma i dati su cui si basa
(le rivele) sono tutti del periodo luglio-agosto 1753.
Di
seguito riporto la trascrizione di tutte le rivele
interessanti gli abitanti del casale, fossero essi cittadini laici,
donne, cittadini ecclesiastici e cittadini forestieri. La trascrizione
è stata effettuata dalle rivele
in quanto il catasto vero e proprio fornisce notizie più stringate di
queste (per esempio, per le case tenute in fitto ci si limita a
segnalare «vive in casa locanda», privandoci delle preziose
informazioni sul numero dei vani tenuti in fitto, del luogo del paese
dove si trovava la casa, dell’ammontare del fitto stesso). Altro
fatto interessante da notare è che spesso nelle rivele i dichiaranti avevano omesso di segnalare beni, di solito
capitali, che poi deputati ed estimatori segnalano nella
documentazione degli atti preliminari al catasto. In questo caso ho
riportato in parentesi quadra dopo il contenuto della rivela le
valutazioni degli estimatori, così come il valore della rendita dei
capitali che era sempre fissata dagli incaricati della redazione del
catasto.
In
qualche caso (pochi per la verità) ho riportato ancora tra parentesi
quadra alcune dichiarazioni di cittadini (facilmente distinguibili
perché in prima persona), particolarmente interessanti perché
forniscono notizie sulla vita economica e sociale di questo centro.
Tra
parentesi tonde, invece, alcune mie precisazioni, quando i periodi non
sono chiari o i puntini ad indicare le parti non leggibili del
documento.
Non
ho trascritto tutto il catasto perché ho ritenuto più interessante
concentrare l’attenzione su Crispano e sui suoi abitanti alla metà
del ‘700, e da questo punto di vista il catasto onciario rappresenta
un documento veramente eccezionale. Ho riportato però tutta la rivela
del feudatario di Crispano, nonché i dati salienti di alcuni
proprietari di beni in Crispano i cui nomi ricorrono per gli affitti
di case e terreni agli abitanti del casale. Ancora qualche notizia dei
benefici ecclesiastici, in particolare quando si riferiscono a
cappelle ancora esistenti in Crispano, fornendo quindi qualche dato
prezioso su di esse.
Non
mi resta che lasciarvi alla lettura del Catasto, non prima di
ricordare che, per una migliore comprensione dello stesso, occorre
sapere che:
L’unità
di misura dei terreni in uso all’epoca in Crispano era il moggio
aversano che corrispondeva a circa 4259 mq. Il moggio si divideva in
10 quarte (1 quarta = 425,9 mq circa); una quarta era pari a 9 none (1
nona = 47,32 mq circa); una nona era formata da 5 quinte (1 quinta =
9,46 mq circa).
La
moneta in vigore all’epoca nel Regno di Napoli era il ducato che era
formato da 5 tarì, da 10 carlini e da 100 grani. Il grano era a sua
volta formato da 12 cavalli. 6 cavalli erano un tornese.
La
misura di capacità per gli aridi era il tomolo, pari a 55,31 litri.
La
misura di capacità per il vino era il barile, pari a 43,62 litri.
Principali
abbreviazioni usate nel documento:
a.
= anni / an. = annuo,
annui / d. = ducati / D.,
D.a = don, donna. Era un titolo che si rendeva a persone di
una qualche levatura sociale, oltre che ai sacerdoti /
Ecc.mo = Eccellentissimo / q.m = quondam
o quandam, il fu, la fu
(quando si parla di persone defunte) / Ill.e = illustre