Le
feste simili
(Geom.
Salvatore Giuseppe Savariso)
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La
Macchina di Santa Rosa a Viterbo
La parola macchina
potrebbe far pensare qualcosa
che abbia un movimento meccanico e magari si sposti comandata da
sofisticate apparecchiature. Ma non si pensa neanche
lontanamente che la torre luminosa è trasportata a spalla da
uomini robusti chiamati "Facchini".
Si
pensa che la festa abbia avuto inizio intorno al XIII secolo, il
4 settembre 1258 quando, sorretto da quattro cardinali e seguito
dallo stesso Pontefice, il feretro della Santa fu traslato alla
chiesa di San Damiano (oggi Monastero di S. Rosa)
Per
sentir parlare di Macchina, così come oggi la intendiamo, si
deve risalire intorno alla metà del 1700.
Notizie
certe della macchina di Santa Rosa si hanno all'inizio del 1800
quando l'autorità Comunale dava incarico a gente borghese di
disegnare ed eseguire una nuova costruzione.
Sono
circa 100 i Facchini che trasportano a spalla questa macchina
del peso di 53 quintali distribuiti in un'altezza di 30 metri
tra ferro, legno e cartapesta.Al fatidico comando di "sotto
col ciuffo e fermi" la folla presente si ammutolisce e la
città cade in un buio profondo: l'unico alone a risplendere è
quello delle luci a fiamma della macchina che, all'ordine "
per S. Rosa avanti"si avvia lungo il percorso.
Il Trasporto della
Macchina di Santa Rosa avviene su un percorso di circa un
chilometro che prevede cinque soste.
I Facchini di Santa
Rosa sono il “motore” della Macchina. La riuscita del
Trasporto è dovuta alla loro abilità e al loro sacrificio.
Riuniti da oltre venti
anni in un Sodalizio nella cui sede è possibile ammirare i
modellini della maggior parte delle Macchine trasportate, i
Facchini si dividono in “Ciuffi”, (coloro che stanno sotto
la Macchina e hanno sulla testa un cuscino-cappuccio per
proteggersi dagli urti), “spallette” (quelli che sostengono
la Macchina da uno dei lati), “stanghette” (di ausilio di
trasportatori, e stanno al di fuori della Macchina) e “leve”
(i venti che entrano in azione nell’ultima parte del percorso
in aiuto alle file posteriori dei Facchini per distribuire
equamente il peso della Macchina).
La giornata del 3
settembre per i Facchini, che indossano la tradizionale divisa
(camicia bianca, pantaloni bianchi alla zuava, calzettoni,
scarponcini neri con stringhe, fazzoletto bianco legato in testa
“alla pirata” e fascia rossa in vita), rappresenta il
momento più esaltante: dalla vestizione in casa, al “giro”
delle chiese, dalla benedizione “in articulo mortis” fino
alla conclusione del faticoso Trasporto con l’abbraccio dei
parenti e l’ovazione della gente.
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Il
Carro di Mirabella Eclano
(Avellino)
La festa si celebra il terzo sabato di settembre.
Secondo i pochi
documenti dell'epoca, già dall'inizio del 1600 era consuetudine
dei contadini di Mirabella Eclano (Campania) offrire alla
Madonna Addolorata ed altri santi protettori una certa quantità
del grano mietuto in ciascuna annata.
L'offerta, da
devozione di singoli contadini, si organizzò più tardi a
collettiva ed organizzata: il "dono" era trasportato
su un solo carro ed il Carro stesso ne diventava simbolicamente
l'espressione.
Nel 1869 un artista di
Fontanarosa, Stanislao Martini progetta e compone un obelisco
alto 25 metri con la facciata composta da paglia intrecciata.
La struttura
completamente in legno secondo una tecnica semplice ma efficace
che oltre a consentire al complesso l'indispensabile flessibilità,
per il trasposto sul carro trainato da buoi, ne permette lo
smontaggio e la conservazione.
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I
ceri di Gubbio (Perugina)
Ogni anno, il 15
maggio, si celebra a Gubbio (Umbria) la festa dei Ceri:tre
macchine, formate da prismi ottagonali appuntiti alle estremità,
sovrapposti e attraversati da un'asse; confitti ed incavigliati
al centro di una tavola, chiamata "barella", a cui
stanno fissate delle antenne trasversali, a guisa di un'acca
maiuscola, che si posano sulle spalle dei ceraioli.
Questa la descrizione
arida e fredda. Ma quei Ceri portati da uomini forti, quasi
invasi da umano e sacro furore, corrono come in un volo agile e
potente.
Orgiastica e
impressionante corsa, per ampie strade e piazze monumentali, per
discese paurose ed ardue salite, simbolo di forza e di fede.
L'origine è oscura:
rievocazione ancestrale della festa pagana in onore di Cerere?
Ricordo trionfale del Carroccio che vide intorno a sé il valore
e le vittorie di questa gente forte? Trasformazione simbolica di
un'offerta di cera, un omaggio luminoso e ardente al Protettore
tanto amato e invocato?...
...festa
del sangue di un popolo, forte e lieto; patrimonio e tradizione
di elementi umani e spirituali, sacri e profani, fondo e vicenda
indistruttibile di un popolo "dalle molte vite"
La festa è
tra le più antiche, se non in assoluto la più remota,
manifestazione folkloristica italiana.
La sua nascita è
tutt'ora oscura e basti ricordare che esistono due ipotesi
fondamentali: una religiosa e l'altra pagana.
La prima, configura la
Festa come solenne atto devozionale degli eugubini al loro
Vescovo Ubaldo Baldassini, a partire dal maggio 1160 anno della
Sua morte. Da allora, ogni 15 maggio, giorno della vigilia del
lutto, l'offerta devozionale al Santo Patrono divenne un
appuntamento fisso per il popolo eugubino, che avrebbe
partecipato, in mistica processione, ad una grande
"Luminaria" di candelotti di cera, percorrendo le vie
della città fino al Monte Ingino.
I candelotti di cera, offerti dalle corporazioni di Arti
e Mestieri, probabilmente divennero nel tempo tanto consistenti
da renderne difficoltoso il trasporto e vennero sostituiti verso
la fine del '500 con tre strutture in legno, agili e moderne,
che - più volte ricostruite - sono, nella loro forma
originaria, arrivate fino ai nostri giorni. Sono rimasti
invariati nel tempo anche la data ed il percorso della festa.
La seconda ipotesi, più indiziaria e ipotetica, propende
per la rievocazione ancestrale della festa pagana in onore di
Cerere, dea delle messi, arrivando a noi attraverso le glorie
comunali e le signorie rinascimentali, il dominio pontificio e
le lotte risorgimentali.
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Il
Carro di Ponticelli, Napoli
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Il
Palanchino Shinto di Morioka, Giappone
La festa della divinità
Shinto si svolge il 15 luglio. Ogni anno si cambiano i
portatori che, per arrivare al tempio della divinità, devono
scalare otto piccole colline con una pendenza di 30°
trasportando a spalla il palanchino del peso di circa 850 kg.
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la
Rua di Vicenza
Nella tradizione
storica vicentina, un posto di riguardo spetta ad una
particolarissima macchina in legno, chiamata la Rua, che veniva
trasportata a braccia in processione durante le feste popolari
della città. Era il simbolo dell’orgoglio popolare vicentino,
e si narra che fosse il ricordo di una ruota tolta al Carroccio
di Padova dai vicentini durante una battaglia medioevale. In
realtà la Rua era l’insegna dei Notai usata nelle processioni
della festa del Corpus Domini, istituita nel 1264 dal Papa
Urbano IV.
Il collegio dei Notai
era all’epoca molto ricco e potente e poteva perciò
permettersi l’insegna più sfarzosa. Dopo il 1616 la Rua passò
a rappresentare tutto il popolo e l’emblema stesso della
festa, divenendo un avvenimento a se stante. A partire dal 700
però, il clero, ritenendo che distraesse troppo la gente dalle
funzioni religiose, suggerì di tenerla coperta e di farla
apparire soltanto a celebrazione conclusa.
Nonostante le sue
dimensioni ed il suo peso, la struttura veniva trascinata con
grande abilità attraverso le vie di Vicenza: dalla Piazzetta
Palladio, dove veniva montata, proseguiva per contrà Muschieria
fino alla residenza vescovile in Piazza Duomo, dove sostava per
la benedizione. Proseguiva poi per Piazza Castello e, attraverso
Corso Palladio, raggiungeva contrà Santa Barbara, entrava in
Piazza dei Signori e ritornava al luogo di partenza, in
Piazzetta Palladio, denominata un tempo proprio "piazzetta
della Rua".
Per protestare contro
il dominio austriaco la rappresentazione fu sospesa nel 1858, e
dieci anni dopo ci fu un’altra apparizione, l’ultima in
occasione del Corpus Domini. Nel 1880 fu allestita per il 12
settembre, in occasione del terzo centenario del Palladio.
Quando però, nel passaggio al nuovo secolo, le vie della città
cominciarono ad essere attraversate dai fili della luce
elettrica, le dimensioni della Rua dovettero essere ridotte per
consentirne il passaggio, e successivamente lo spettacolo si
tenne solo in Piazza dei Signori. Nel 1928, in occasione delle
celebrazioni del quinto centenario delle apparizioni della
Madonna di Monte Berico, festa di precetto cittadina, la Rua fu
fatta uscire per tre volte. Nel 1944, durante i bombardamenti
della seconda guerra mondiale, la Rua andò completamente
distrutta.
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I
Candelieri di Sassari
La
festa dei Candelieri si celebra a Sassari la vigilia di
Ferragosto e risale, probabilmente, alla dominazione pisana del
XIII secolo.
Intorno
al 1500 la festa assunse un carattere votivo quando fu ripresa,
o rinnovata con particolare solennità, per ringraziare la
Vergine della protezione accordata alla città in occasione di
terribili pestilenze cessate alla vigilia della festa della
Madonna di Mesausthu (Madonna di Mezzagosto).
Protagonisti
della festa sono i Gremi (in spagnolo adunanza, associazione, a
carattere religioso) con i quali si indicano in età
catalano-aragonese le
associazioni di mestiere.
Ogni
gremio è rappresentato da un "candeliere", colonna in
legno alta tra i 4 ed i 5 metri, composta dal piedistallo, dal
fusto ed dal capitello.
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Il
Giglio di Recale (CE)
La festa di Giugno
dedicata a S. Antimo ha la particolarità di chiamarsi
"Festa del Giglio". Essa è nata all' incirca nel
1880.
L' origine di questa
imponente costruzione si fa risalire all' usanza dei primi
cristiani di cospargere di fiori e particolarmente di gigli la
strada che dovevea percorrere un loro trionfatore nel ritornare
da una missione o dall'esilio. Poichè anche il suddetto Santo
si trovò in questa circostanza, quando fece ritorno dall' Asia
a Roma, indubbiamente la strada che dovette fare fu coperta di
gigli da tutti i suoi seguaci. Questa usanza di cospargere fiori
incominciò a ripetersi nel solennizzare l' annuale del glorioso
ritorno; però a poco a poco fu abolita e i fedeli, nell' ora
saputa del giorno del trionfo, si recavano al luogo dello sbarco
con aste recanti, alla loro estremità, dei gigli. Col passare
del tempo anche questa usanza fu abolita e si inizio a costruire
una macchina in legno, sulla quale i fedeli ricordavano di aver
collocato il Santo, durante il ritorno predetto. Questa macchina
è stata sempre più perfezionata ,per cui oggi ha assunto la
definitiva forma piramidale a base quadrata, di lato mt. 3,50 e
di altezza mt. 27. Il nome "Giglio" attribuito a
questa imponente costruzione non corrisponde, alla sua forma e
alla sua apparenza.Oggi la veste di questa costruzione ha
raggiunto perfezioni artistiche mirabili. Trattasi di lavoro
eseguito su forma di legno e carta pressata, rappresentante
tutti gli stili architettonici, storia dell'arte, plastica e
pittura. Il Giglio viene rinnovato ogni quattro anni e, quindi,
vengono rinnovati il soggetto e lo stile. All'altezza di mt.
3,00, su apposita base del Giglio, viene collocata la statua del
Santo, nella domenica della sua festa. Di preciso non si sa come
e quando il Giglio sia stato introdotto a Recale. I nostri
anziani dicono che da principio lo preparava un nostro
compaesano chiamato Mastu Titto, ossia il sarto Giovanni
Battista. Dopo Mastu Titto il Giglio fu costruito dal signor
Francesco Grauso da Puccianiello (1887). Dal 1946 il Giglio fu
costruito dalla ditta Tudisco da Nola. Esso viene portato a
spalla dai giovani di Recale alla cadenza di una caratteristica
Tarantella composta dal maestro Luigi Salzano. Fino ad alcuni
anni fa parecchi forestieri venivano il sabato a legare il
fazzoletto alle sbarre per prenotarsi il posto. Secondo la
consuetudine verso le otto di sera si va a prendere la statua di
S. Antimo alla Torre e processionalmente viene portata alla
Chiesa Parrocchiale, sopra una artistica barca con fiori.
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I
Candelori di Catania
L'origine di queste
complesse e fantasmagoriche macchine barocche è antichissimo,
almeno in quello che è il loro significato primigenio, legato
come sembra alle falloforie dei mondo greco, un'usanza durata
nel popolo fino alle soglie dell'età moderna. Sull'epoca in cui
il rito più antico venne imbrigliato però nelle nuove usanze
cattoliche sono diverse le interpretazioni
Il
2 febbraio, fosse stata istituita da papa Gelosia I in
sostituzione di una cerimonia pagana nella quale si portavano in
giro granditorce; altri invece la fanno risalire al 687, al
pontificato di Sergio 1 e altri ancora al Vi secolo dopo
Cristo... certo è che l'uso di dipingere i ceri e di adornarli
con immagini sacre è antichissimo nella Chiesa, e veniva
osservato - ci racconta Lanzafame - già nel IX secolo.
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La vera storia delle
Canderole, così come sono oggi, è una storia che data grosso
modo dalla fine del XV secolo. Nei primi anni dei Cinquecento
erano ben 22 - undici in più delle attuali - e la loro sfilata
era ordinata da Liber cerimoniarum. Nel Seicento il numero di
questi monumenti mobili raggiunse le 28 unità. Di essi alcune
superavano in altezza le cime dei palazzi, in una sontuosità e
una ricchezza che raggiunsero l'apice nel Settecento. Ma alla
fine dei secolo scorso già il numero delle Candelore si era
quasi dimezzato, per diminuire ancora agli inizi di questo - I 3
- ed arrivare alle undici di oggi.
Portate a spalla dai
fedeli in una caratteristica danza detta " annacata ",
le Canderole sfilano per le strade della città in un ordine
preciso, precedendo la più importante vara. Queila di Mons.
Ventimiglia, la più piccola, apri il corteo. Seguono quindi
quella dei Rinoti, cioè degli abitanti di S. Giuseppe la Rena,
quella degli Ortofioricuitori, dei Pescivendoli, dei
Fruttivendoli, dei Macellai, dei Pastai, dei Pizzicagnoli, dei
Bettolieri, dei Panettieri e, infine quella dei Circolo
cittadino di S. Agata, voluta nel 1 876 dal beato Cardinale
Dusmet.
Tutte hanno subìto
nei tempo rovine, danni, distruzioni, a volte radicali
cambiamenti. Ma tutte sono ancora li, nuove , restaurate, pronte
per un anno intero, nelle sedi delle confraternita e nelle loro
chiese, per la loro "uscita" girare i quartieri, per
incuriosire i bambini e commuovere anzi accendere di passione
religiosa e campanilistica i fedeli e gli appartenenti alle
corporazioni.
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I
Trunu di Barrafranca (Enna)
La macchina processionale del cosiddetto " Trunu
" è composta da diverse parti. Quella centrale e
fondamentale che contiene i meccanismi che consentono di far
sollevare l'asta centrale e in cui vengono inserite " le
baiarde ", viene chiamata " firruzzu ", struttura
parallelepipeda formata da travi di legno. Al centro di essa
s'innalza una grossa asta di forma quadrilatera di cui ogni lato
è cm. 20 anch'essa di legno, e alta circa due metri. Ai quattro
angoli dei " firruzzu " sono inserite altrettante
piccole aste di metallo che portano in cima delle lanterne, a
ricordo delle numerose lanterne che accompagnavano una antica
processione. L'asta sostiene in cima una grande sfera di circa
un metro di diametro.
Essa è costruita in
lamiera di colore azzurro, sulla quale si notano delle piccole
aperture rotonde, chiuse da vetri colorati. Un tempo dentro il
globo, che rappresenta il mondo e che viene denominato "umunnu
", venivano collocate delle lucerne, che facevano
trasparire la luce attraverso i vetri.
Sopra questo globo
viene inserita "la spera", cioè la raggiera e la
grande quantità di " scocche " svolazzanti, che la
ricoprono interamente, come una nuvola variopinta, da tutte le
parti, lasciando appena intravedere il Crocifisso egli
innumerevoli ex-voto di oro che lo ricoprono e che mandano
barbaglii luminosi sotto la luce intensa dei riflettori.
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Tutto il congegno o la
macchina processionale viene portato a spalla tramite due grosse
e lunghe travi di legno che vengono chiamate in vernacolo
barrese " baiarde ". Esse hanno gli spigoli smussati e
per la loro larghezza consentono ai portatori di disporsi in
doppia fila, una esterna e l'altra interna. La " Giunta
" è una rievocazione drammatizzato del periodo che va
dalla settimana di passione all'incontro di Cristo e della
Vergine dopo l'Anastasia del Redentore. Essa viene effettuata in
termini teatrali, attraverso le strade e le piazze della
cittadina, facendo uso
di "Apostoli": opere plastico/figurative di
artigianato popolare, sorretti da uomini nascosti sotto il manto
delle sacre figure. Si conclude con l'incontro di Gesù e Maria.
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La
Vara dell'Assunta di Messina
Ogni
anno il 15 agosto si celebra la festa della Vara in onore di
Maria SS. Assunta.Una macchina singolare ed alta sino ai secondi
piani dei palazzi, poggia a terra su due grossi sci metallici;
da questi partono i sostegni di una piattaforma circolare. Sulla
base quattro grossi tronchi di colore argenteo si spingono in
alto per unirsi sopra in un corpo unico, che, innalzandosi,
diviene sempre più sottile. Numerosi angeli (una volta
costituiti da bambini ed oggi da fantocci) sono distribuiti su
tutta la macchina; in cima a questa è la Vergine, sorretta con
la mano destra dal Cristo. Alla base della Vara sono unite, poco
sopra gli sci, due grosse travi con sei ordini di sostegni, tre
da un lato e tre dall'altro, su cui agiscono degli uomini
robusti per far scivolare o frenare la Vara. Fra i quattro
tronchi è posta, durante la processione una bara con il corpo
di Maria Vergine (l'anima di Maria, assunta in cielo, è
rappresentata dalla figura sorretta dal Cristo). Sul tronco, per
mezzo di un perno che li fa girare, sono il sole e la luna,
l'uno dorato e l'altra argentata; a questi sono legate altre
figure di angeli, che, per quanto i due astri ruotino su se
stessi, rimangono sempre ritte. La prima macchina fu costruita
nel 1535 dall'architetto Radese, ma venne rinnovata nel corso
dei secoli. Gli angeli e l'anima della Madonna erano
rappresentati da bimbi, il che rendeva la processione
emozionante anche per il pericolo di cadere che i bambini
correvano costantemente. La processione attualmente parte dalla
piazza Filippo Juvara, percorre la via Garibaldi, imbocca la via
I Settembre e giunge sino a piazza Duomo. Tutto il percorso, per
diminuire l'attrito, viene preparato da autobotti innaffiatrici.
Alla folla numerosa (oltre 100.000 fra messinesi e forestieri)
fanno riscontro fitte schiere di donne e di uomini, spesso
scalzi per voto o per devozione, che, aggrappati a lunghe corde,
trainano la macchina.
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La
Vara di Randazzo (Catania)
Dedicata
all'Assunta, è una suggestiva tradizione che dal 1500 è giunta
fino ad oggi. la storia non lo afferma con sicurezza ma, da
scritti dell'epoca, da leggende e dalla memoria popolare, si fa
risalire l'istituzione della festa alla baronessa Giovannella De
Quatris. Sotto il suo patrocinio bravissimi artisti, artefici
realizzarono il "Carro Trionfale" detto nel gergo
popolare " 'A Vara " la stesso nobile Giovannella, si
dice abbia lasciato l'incarico alla Chiesa di S. Maria, oggi
Basilica Pontificia, di tramandare ai posteri la manifestazione,
dotandola all'uopo anche di mezzi finanziari, oggi sostenuta
dalle amministrazioni comunali e dai cittadini. "'A Vara
" viene allestita non perdendo nulla della originaria
magnificenza e dei simbolismo primitivo. Il sostegno centrale,
un grosso tronco dei diametro di 40 cm., non è fisso, ma compie
un movimento rotatorio continuo, che ha per immediata
conseguenza la rotazione di tutto l'apparato, comprese le
persone e le due grandi ruote già per se stessa mobili in altro
senso. Dalla base al vertice dell'enorme " simbolo "
si inseguono centinaia di figurine ornamentali in rilievo,
nuvole d'argento, specchi a profusione delle dimensioni più
svariate, una miriade di scaglie d'oro, argento, smeraldo,
arancio, zaffiro.. Il
brillìo gioioso di tanta ricca veste, i barbagli vivissimi che
gli specchi lanciano colpiti dai raggi solari bastano da soli a
sottolineare l'apoteosi della Vergine che accede al Trono
dell'Eterno. Il carro base ha un' area di 1 8 mq. e ospita oltre
al tronco centrale, un altarino con la reliquia della Madonna.
Attorno all'ara trovano posto sacerdoti e chierici. Il complesso
misura da terra al sommo vertice quasi venti metri.
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Il
Carro di Terlizzi (Bari)
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All’inizio
del XI secolo a Sovereto, luogo che dista tre chilometri da
Terlizzi, fu rinvenuta un’icona – di probabile manifattura
bizantina – raffigurante la Vergine col Bambino, detta appunto
Madonna di Sovereto. -
Dal tempo del ritrovamento dell’icona la Madonna di Sovereto
divenne difatto, con S. Michele, Patrona della Città.
- Il 16 aprile di ogni anno la sacra immagine è esposta
in Cattedrale; il 23 dello stesso mese è portata a spalla al
Santuario di Sovereto – costruito nel XVII secolo, ampliando e
trasformando l’antica struttura chiesastica di epoca romanica
costruita sul luogo del ritovamento dell’icona .
- L’immagine sacra, portata in processione, avanza
lentamente lungo la strada, quasi a voler mostrare il suo
compiacimento per la fertilità dei campi coltivati ad ulivi,
mandorli e viti. La "manifestazione" assume tutti
icaratteri di una sagra primaverile.
- Sembra questo il giorno che gli antichi dedicavano al
culto di Demetra. -
Il primo sabato del mese di agosto – prima era di maggio –
l’immagine della Vergine è portata in città sul simbolico
carro trainato da buoi: la processione del ritorno è ancora più
lenta dell’andata perché per i fedeli il riavere la vergine
nella civitas è come il riaffermare il possesso di un bene
affettuosamente agognato e del quale si è sentito a lungo la
mancanza. - Il
giorno dopo, la domenica mattina, si tiene la celebrazione
solenne della Festa Maggiore: la Vergine posta con S. Michele
sul " Carro Trionfale ", fa il " giro "
della città, su un percorso di circa due chilometri, impiegando
un tempo fra le quattro e le cinque ore.
IL
CARRO TRIONFALE – DESCRIZIONE DELLA “MACCHINA"
L’assenza
di documenti iconografici non consente di conoscere gli aspetti
tecnici e stilistici degli organismi degli "Ingegni"
ed " Apparati " precedenti ormai perduti.
- Pertanto questa scheda descrive il carro attuale che
riecheggià quello che un tempo fu.
-La " macchina ", poggiata su una base di metri
6,60X13,00, alta 22 metri, si può definire un ostensorio mobile
su ruote. -
Per dimensioni e forma è comparabile ad un campanile, trainato
da sessanta uomini e condotta da quattro timonieri, cui
sovrintende un " Maestro di guida ". La struttura
portante, o scheletro, è costituita in massima parte da legno
di abete con alcune parti in legno di quercia e rovere. La forma
tridimensionale è rivestita con decorazioni ispirate a motivi
stilistici rinascimentali e barocchi interpetrati in chiave
neoclassica. - La
composizione scenografica, ottenuta tramite l’uso di tela
intelaiata variamente decorata e cartapesta, si sviluppa su
cinque piani o livelli: Il primo ospita i sessanta uomini addetti al traino.
Il secondo, detto piano della " Carretta " o
" Carpento " , insieme al " Traino " forma
la base della " Macchina ".
Il terzo è il piano del " Trono " detto anche
" Cappella " della Vergine.
Il quarto è il piano di " Lanterna " dei
" Teleri ".
Il quinto è costituito da una cupola
L’ultimo
carro tradizionale che risaliva all’edizione del 1868, nel
cuore della notte, a cavallo tra il 21 e 22 agosto 1991, fu
distrutto da un incendio doloso. Nel 1992, a seguito di
sottoscrizione popolare, la " Macchina " fu
ricostruita.
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Il
Giglio di Villanova Del Battista (AV)
Fin
dall'antichità la sera del 27 Agosto si trasportava presso il
Ponte «il giglio» preparato a suo tempo in località Demanio
(a lu chiano r'lu Rumanio). Il giglio era costituito da una
autentica costruzione architettonica a forma di guglia, messa su
con paglia dalla paziente abilità di alcuni esperti contadini.
Per
il trasporto del giglio dal Demanio al Ponte venivano utilizzati
dei buoi ma per farlo rimanere in equilibrio erano addette delle
persone esperte che al comando di un capo dalla voce possente (
un vero timoniere) regolavano le funi: L'incarico alla fune era
ritenuto un grandissimo privilegio: ci si vantava « ann 'ncap'a
n'at'» del delicato ruolo svolto attorno al giglio... insomma
l'eco della festa durava mesi e mesi.
Ancora
oggi il 27 agosto si può ammirare il Giglio che ogni anno
puntualmente viene offerto, sempre rinnovato nelle forme e nei
disegni, ai numerosissimi turisti ed emigranti i quali con
solerte passione si aggrappano alle funi per «tirare» il
Giglio.
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Il
Giglio di Flumeri (AV)
Imponente
e maestoso il Giglio di Flumeri è pronto per essere donato
quale segno di devozione a San Rocco. Il giorno 15 di agosto
accompagnato da una marea di fedeli, che verranno a Flumeri da
ogni dove, sarà trasportato fin sotto la Chiesa, del Santo e lì
sosterà per alcune settimane. In questo periodo saranno ancora
tante persone che guarderanno con ammirazione quella che senza
esagerazione può essere definita una vera opera d'arte
realizzata con spighe di grano duro.
È
unico il Giglio di Flumeri. Ogni anno assume una forma diversa
perché progettato e costruito ex novo utilizzando sempre le
spighe di grano le migliori, le più pregiate. Niente pannelli
di paglia né cartapesta conservati e poi assemblati. I
flumeresi no potevano non potevano e no possono non donare la
cosa più cara, più preziosa che essi posseggono: il grano
quello duro. Lassù in cima a trenta metri d'altezza campeggia
la foto dio San Rocco mentre al primo piano è stato posizionato
un quadro del Santo che riproduce la statua posizionata nella
Chiesa costruita in Suo onore.
Dal
luogo di costruzione, periferia del paese in località Campo del
Comune, ormai ribattezzata "Campo del Giglio", in un
tripudio di gioia, canti e suoni viene trasportato al centro del
paese e lì sarà posizionato come si diceva proprio vicino la
Chiesa del Santo. Nel corso del tempo la struttura lignea del
Giglio di Flumeri ha subito delle modifiche. Anticamente veniva
rivestito un albero di ciliegio scelto tra i più belli
esistenti nelle campagne di Flumeri.
Era
un grande onore poter offrire questo albero di frutto che
sarebbe stato utilizzato per l'occasione. Nel corso del tempo si
è pensato di realizzare una struttura ad hoc e già si è
deciso che il prossimo anno anche l'attuale sarà modificata
immaginando una ancora più grande e maestosa senza intaccare le
caratteristiche di quella attuale.
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Il
Carro di Fontanarosa (AV)
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