|
|
CENNI STORICI SUI COMUNI LIMITROFI
|
Caivano
(estratto
da sito internet)
Epoca
pre-romana
Il
territorio di Caivano, originariamente in buona parte paludoso per
effetto del Clanio (antico Clanis o Clanius, attuali Regi Lagni), fu
bonificato dagli Etruschi che conquistarono la zona nel VI° secolo
avanti Cristo. Il nome Glanis (con la g dura) è infatti etrusco e
significa fiume fangoso. Gli Etruschi soggiogarono le popolazioni
preesistenti, gli Osci, e fondarono in Campania dodici città, fra cui
Atella a circa 4 km ad ovest dell'attuale Caivano. Nel IV° secolo a.
C. gli Etruschi furono a loro volta sconfitti dai Sanniti, popolazione
bellicosa affine agli Osci. Del periodo osco-sannita rimangono
numerose tracce nel territorio campano ed anche in quello caivanese.
Oltre 5000 tombe dell'epoca si calcola siano state ritrovate nella
pianura campana e molte anche nel territorio caivanese. Ad esempio, in
contrada Padula (sul lato destro della provinciale per Acerra, prima
del ponte sui Regi Lagni), nei pressi dell'ex-cimitero colerico,
furono ritrovate, nel 1928, 31 tombe osco-sannite. Si ipotizza che la
zona fra via Don Minzoni e via Matteotti, che è leggermente rialzata
rispetto alle vie circostanti, sia stata sede di un villaggio osco
dipendente da Atella. In vari cortili del rione sono stati infatti
ritrovati dei vasi di creta rossa (dolii) risalenti all'epoca
sannitica.
Epoca
romana
Gli
Atellani furono dapprima alleati dei Romani. Poi, dopo la sconfitta
dei Romani a Canne, si allearono insieme a Capua con Annibale. Quando,
dopo anni di ulteriori lotte, Annibale nel 211 a. C. si ritirò verso
la Lucania, molti Atellani per paura dei Romani lo seguirono e
successivamente fondarono una nuova Atella (che ancora oggi esiste nei
pressi dell'attuale Melfi). I Romani uccisero o resero schiavi la
maggior parte degli Atellani che non fuggirono. Inoltre presero per sé
e centuriarono la parte occidentale del territorio di Atella: ai
Nocerini, loro alleati e che avevano avuto grandi danni da Annibale,
assegnarono la parte orientale del territorio di Atella, vale a dire
anche il territorio che sarebbe stato di Caivano. Circa due secoli
dopo Augusto mandò un nuovo gruppo di coloni romani ad Atella e
furono loro assegnate altre terre nel futuro territorio di Caivano.
Il
nome di Caivano trae forse origine da un praedium Calvianum, vale a
dire proprietà della gens (famiglia) Calvia, cui fu assegnata in
proprietà il villaggio osco preesistente, il cui nome ci è del tutto
ignoto. Nel documento più antico in cui si menziona Caivano (citato
dal Pratilli, che dice di aver consultato documenti di epoca
longobarda risalenti all'VIII° secolo) si parla di campu Calevanu.
Di
epoca romana fu rinvenuto nel 1923, presso la Chiesa di S. Barbara,
una ricca tomba nobiliare sotterranea del I° secolo d. C. con
splendide pitture murali, raffiguranti fra l'altro delle mura di case
di un villaggio, forse l'antico praedium Calvianum. La tomba fu
smontata e ricostruita nel cortile del Museo Nazionale di Napoli dove
è ancor oggi possibile visitarla.
Medio
Evo
Nel
568 i Longobardi iniziano l'invasione dell'Italia. Due anni dopo
esiste già il ducato longobardo di Benevento. Da allora e per quattro
secoli i Longobardi tentarono, senza mai riuscirvi, di conquistare
Napoli. Venendo da Benevento la postazione più avanzata del ducato di
Benevento in direzione di Napoli era il villaggio fortificato di S.
Arcangelo. Questo centro, attualmente disabitato e ridotto a pochi
ruderi, fu fondato dai Longobardi subito dopo il loro irrompere nella
pianura campana e fu dedicato a S. Michele Arcangelo che era da loro
molto venerato. S. Arcangelo dominava le terre ed i villaggi fino a
Licignano verso Napoli e ad Atella in direzione ovest. Caivano (e
forse gli attuali Pascarola e Casolla Valenzano ed anche Cardito e
Crispano, praedium Crispianum) erano villaggi sottoposti al dominio di
S. Arcangelo.
Quando
i Normanni ebbero dal duca di Napoli la contea di Aversa, S. Arcangelo
era la fortificazione più importante della contea. Ma, allorché i
Normanni conquistarono sia il ducato di Benevento sia la stessa
Napoli, S. Arcangelo perse la sua importanza strategica e si avviò
verso la decadenza. Nel 1463 a S. Arcangelo vivevano ancora 38
famiglie (fuochi). Nel 1676 gli abitanti erano ridotti a 15 e pochi
anni dopo non vi abitava più nessuno. La statua lignea di S.
Arcangelo fu portata nella Chiesa di S. Pietro e lì rimase
gelosamente custodita per molti anni. Nel 1957 il Canonico Angelo
Massaro volle riaprire al culto la Cappella nell'antica e disabitata
sede di S. Arcangelo e ivi riportò l'antica statua. Purtroppo i ladri
la trafugarono e un altro pezzo dell'antica S. Arcangelo scomparve.
Epoca
Moderna
Mentre
S. Arcangelo decadeva la popolazione negli altri centri del territorio
di Caivano andava aumentando. Nel 1532 Caivano aveva 132 famiglie, nel
1545 i fuochi erano diventati 246 e nel 1561 salivano a 420.
Successivamente la peste riduceva le famiglie a 368 nel 1595. Lo
stesso numero di famiglie si registrava nel 1648, mentre nel 1660 le
famiglie salivano a 385. Per calcolare approssimativamente il numero
di abitanti bisogna moltiplicare tali numeri di fuochi per 5. Nel 1772
secondo Lanna Caivano aveva oltre 6000 abitanti. Nel 1882 gli abitanti
erano 11697, nel 1921 erano diventati 13511 e nel 1967 26211.
Attualmente sono circa 38000.
Pascarola
nel 1463 aveva 38 fuochi, nel 1648 le famiglie erano 108. Nel 1669 per
la peste si riducevano a 96. Nel 1804 Pascarola aveva 500 abitanti,
che diventano 800 nel 1901. Attualmente la popolazione è di circa
2500 abitanti.
Casolla
Valenzano (proprietà della gens Valentia; esiste un comune presso
Bari, Valenzano, con analoga origine etimologica del nome) aveva 235
abitanti nel 1797 e circa 100 nel 1903. Oggi gli abitanti sono circa
250.
Il
Castello
In
origine forse esisteva un posto di guardia fortificato longobardo,
laddove è l'attuale torrione. Con la decadenza di S. Arcangelo, gli
Angioini ampliarono la fortificazione trasformandolo in vero e proprio
castello. Circa nella stessa epoca si iniziò a fortificare il
villaggio di Caivano, che nei documenti dell'epoca incomincia ad
essere definito non più villa ma castrum. La parte di Caivano
circondata da mura è delimitata dalle attuali vie Matteotti, Corso
Umberto, via Savonarola, via Sonnambula, via Imbriani. Le mura, in
tufo, furono ritoccate più volte e l'ultima, forse, nel seicento.
Sono visibili tre torri (due a via Savonarola e una all'angolo di via
Imbriani con via Sonnambula). Altre tre torri sono inglobate in
fabbricati più recenti e sono solo parzialmente visibili (una
all'inizio di via Savonarola, la seconda all'angolo fra via Don
Minzoni e via Longobardi, la terza all'angolo fra via Matteotti e via
Mercadante).
Un
importante assedio fu sostenuto per oltre tre mesi nel 1439 secolo
dagli Angioni contro Giovanni Ventimiglia che agiva per ordine di
Alfonso d'Aragona.
Il
Castello fu ampiamente rimaneggiato in epoca aragonese, diventando
sempre più un palazzo signorile fortificato. Sono splendide e ben
conservate le feritoie da cui con armi da fuoco si poteva colpire gli
assalitori.
Il
Castello fu visitato nel 1632 dal viceré di Napoli, Don Emanuele
Zunica e Fonseca, ed una lapide di marmo posta sul portone principale
ne ricorda l'evento.
I
Feudatari
Il
più antico feudatario conosciuto è un certo Raynaldo de Cayvano
dell'XI° secolo, citato in un Diploma di Roberto Principe di Capua
del 1119 ed in un successivo documento del 1149 in cui si parla di
Blanca, uxor quondam Raynaldi de Cayvano. Rainaldo era un nobile
normanno e nel 1119 Napoli non si era ancora sottomessa ai re
normanni.
In
una bolla di Papa Alessandro IV del 1255 si parla di una Adelicia de
Cayvano, mater Andreotti de Castello ad mare. Dal Repertorio Angioino
si ricava che nel 1269 era feudatario Mustarola Antiquini, cui
successe, nel 1302, Bartolomeo Siginolfo, conte di Caserta e Telese.
Nel 1343, riporta D. Lanna junior, il feudo era proprietà di una
certa Berdella Baraballa, vedova di Giovanni Capece.
Giustiniani
(1797) ci riporta i nomi dei feudatari dall'anno 1417. In tale anno
Caivano era posseduto da Marino di Santangelo. Alcuni dei feudatari
successivi furono Giovanni Antonio Marzano (dal 1451), Carlo Maria
Bozzuto (1452), Anna di Sans (1452), Onorato Gaetani conte di Fondi
(1456), Giacomo Maria Gaetani (1489), Prospero Colonna (1504), Giacomo
Gaetani (1518), Emilio della Caprona (1530), Emmanuele Malusino
(1535), Costanza Pignatelli (dal 1535), Baldassarre Acquaviva (1541),
Scipione Carafa (1556), Luigi Carafa (1558) principe di Stigliano,
Andrea Matteo Acquaviva d'Aragona (1596), Giovanni Angelo Barile
(1632), Francesco Barile (1636). Nel 1797 Caivano era feudo della
famiglia Spinelli. All'inizio dell'ottocento il feudo passò ai
Caracciolo e successivamente Caivano si riscattò dalla feudalità.
Le Chiese antiche
1)
S. Maria di Campiglione. Nel 591, nel pieno dell'invasione longobarda,
Papa Gregorio Magno scriveva una epistola al vescovo Importuno di
Atella, inviandogli un parroco per la Ecclesiam Sanctae Mariae
Campisonis. Si ritiene che questa Campisone significhi Campi Pisonis e
che da tale nome derivi il nome Campiglione. La Chiesa di Campiglione
è poi menzionata in un Collettario (Elenco dei contributi delle
singole Parrocchie) della Diocesi di Aversa del 1324 (Ecclesia S.
Mariae de Campillono). Ma allora doveva essere poco più di
un'edicola. L'immagine della Madonna è di stile ed epoca bizantina,
rifatta fedelmente in epoche più recenti.
2)
S. Pietro. La Chiesa di S. Pietro è menzionata in una Bolla del 1186
ed inoltre nel Collettario del 1308 (Ecclesia S. Petri de villa
Cayvani). Prima la Chiesa era costituita dalla sola navata trasversale
e l'ingresso era rivolto verso via Mercadante. Successivamente è
stata costruita la navata principale. Il Campanile è del secolo
scorso e sostituì un Campanile molto più antico e di stile gotico.
La Chiesa come struttura muraria e come stile è la più antica di
Caivano. Nelle sue strutture murarie e architettoniche sono inseriti
elementi presi da edifici preesistenti di epoca bizantina e romana.
3)
S. Barbara. La Chiesa sorge a lato del sito dove fu ritrovata la tomba
romana ed è noto che i Romani erigevano i sepolcri lungo le strade
principali. Inoltre l'attuale via Libertini, dove sorge la Chiesa, è
sulla direttrice che doveva congiungere Atella con Acerra. E'
possibile che dove ora sorge la Chiesa di S. Barbara vi fosse qualche
edicola o tempio romano, trasformato successivamente in Cappella e poi
Chiesa Cristiana. Il primo documento storico che menziona la Chiesa di
S. Barbara è un Collettario della Diocesi di Aversa del 1308, dove si
parla di una Ecclesia S. Barbarae de villa Cayvani.
3)
S. Maria di Casolla Valenzano. Nel Collettario del 1308 si parla di
ben due Chiese dedicate alla Madonna ed esistenti in Casolla (S.
Mariae de villa Casale Valentiano e S. Mariae de eadem villa).
Nell'unica Chiesa di Casolla esistente vi è una statua lignea molto
antica, di stile bizantino, che si fa risalire addirittura all'anno
869, in base alla data che si legge a tergo. Ma in realtà la data
deve leggersi come 1869, anno in cui la statua fu restaurata ed essa
è probabilmente del XIV secolo.
4)
S. Giorgio di Pascarola. E' citata in un documento di re Guglielmo del
1186 (Ecclesiam Sancti Georgii) ed in un documento di Carlo d'Angiò
del 1266. E' inoltre menzionata nel Collettario del 1324 (Ecclesia S.
Georgii de Pascarola).
5)
Dell'Annunziata. La Chiesa fu fondata prima del 1438 da Loise Rosano,
si legge in una lettera del 1894 del Parroco Luigi Rosano, riportata
da D. Lanna senior.
|
Frattaminore
(estrato
da sito internet)
Dei
quattro comuni sorti nelle immediate vicinanze di Atella, Frattaminore
è il solo in Provincia di Napoli. Una produzione piccolo-industriale
ed artigianale, soprattutto nel settore delle calzature, ha
sostituito, negli ultimi due decenni, una già ridotta attività
agricola.
La
denominazione di Frattarninore risale a poco più di cento anni
addietro, quando nacque il comune omonimo. Essa fa eco al nome di
Frattamaggiore, città vicina più nota e più grande. Il comune nasce
dalla fusione dei casali di Frattapiccola e Pomigliano d'Atella. Nello
stemma comunale, a significare il legame diretto con la Liburia
atellana, figurano un pino mediterraneo ed un serpente, animale legato
alla tradizione osca.
Le
origini di Frattapiccola risalgono alla seconda metà dei secolo XIII
quando alcune famiglie che dimoravano nella odierna Fracta si
spostarono nelle vicinanze dell'antico sito di Atella per costruire un
nuovo villaggio che cominciò a chiamarsi Fractula e più tardi,
intorno al 1282, Fractapicula, per distinguersi dall'altra Fracta che
intanto aveva aggiunto l'aggettivo maior.
Nel
1500, a Frattapiccola, esisteva una chiesa intitolata a San Sebastiano
sul cui luogo in seguito ne fu costruita una più grande, come
ampliamento della stessa, dedicata a S. Maurizio; della vecchia chiesa
di S. Sebastiano, funzionante come parrocchia fino al 1520, oggi se ne
conserva ancora una parte individuabile nel locale della sagrestia.
San Sebastiano doveva far parte di un antichissimo convento, quello
dei SS. Sergio e Mario, sorto in aperta campagna come è riportato in
un antico documento che riferisce di uno scambio di terreni
intervenuto tra i fratelli Marcomanno e Giovanni da un lato e i monaci
dall'altro. Nella attuale chiesa di S. Maurizio, costruita intorno al
1550 vi si conservano lapidi con iscrizioni di illustri famiglie
locali dei secoli XVII e XVIII, quelle degli Iovinella e dei De
Ligorio (oggi Liguori) ad una stele romana in cui si legge una dedica
agli dei Mani "Dis manibus M. Amulli Epagathi lib primigeni"
(Agli dei Mani di Marco Amulli Epagato, liberto della dea Fortuna
Primigenia).
Frattapiccola,
con il suo castello circondato dal fossato, fu feudo a partire dal
XIII secolo; ne furono feudatari, tra gli altri, Pietro Marerio,
Pietro da Venosa e Scipione d'Antinoro. Nel 1626 era "utile
signore del Castello" Vincenzo Benevento e successivamente il
figlio Francesco, all'epoca proprietari anche del complesso di
Teverolaccio, nei pressi di Succivo.
Nel
1750 il castello di Frattapiccola passò ai Carafa, conti di
Policastro, sotto la cui giurisdizione erano gli abitanti di
Frattapiccola, come risulta dai registri battesimali. Dell'epoca
esiste, in piazza Crispi, una loro tenuta estiva, rifacimento di un
probabile castello medioevale del quale è visibile ancora una torre,
su via Liguori, oramai inglobata nel palazzo ducale, ed un bastione di
torre nel lato nord del palazzo, sulla discesa per la grotta. Delle
altre due torri una fu demolita per un ampliamento del palazzo; mentre
dell'altra non se ne ha più traccia. Attualmente esiste ancora
parzialmente il fossato ai due lati del palazzo, la restante parte
oramai è andata perduta per la costruzione di immobili. Il palazzo
ducale è edificio quadrangolare a tre piani con tipologia a corte.
All'interno della corte, al piano terra, si trovavano depositi e
stalle; in seguito questi locali sono stati trasformati in abitazioni
e sopraelevati di piano. I vecchi balconi con archi sono stati
modificati talmente da far perdere ogni riferimento architettonico. Al
piano terra, oramai anch'essa destinata ad abitazione, vi è la
cappella del palazzo il cui altare fu spostato nell'attuale Cappella
dell'Annunziata sempre in piazza Crispi. Nel 1647, durante la
rivoluzione di Masaniello, vi si rifugiarono 500 armigeri a cavallo
comandati dal conte di Conversano, Giangirolamo Acquaviva, agli ordini
del generale Tuttavilla e messi in fuga dai popolani di Frattamaggiore
e Grumo Nevano. Pomigliano d'Atella, "Casali Pomillani" fu
dato in feudo a Guglielmo Stendardo. Il castello del XVI secolo, che
fu palazzo marchesale, appartenne agli Ambmsino nel secolo XVII, e
successivamente al marchese Carlo Rossi di Napoli. Il palazzo,
nonostante le numerose manomissioni, presenta ancora tracce del
fossato e parte dell'antica facciata con porte e finestre, alcune
delle quali trasformate in balconi, con cornici in piperno.
|
Frattamaggiore
(estrato
da sito internet)
La
storia dei territorio frattese ha spesso sostenuto la speranza di far
luce sulla civiltà sviluppatasi in epoca pre-romana nell'area a nord
di Napoli con al centro Atella, l'antica città osca scomparsa nel XI
secolo. L'antichissima produzione della canapa e l'artigianato delle
funi sono elementi che stabiliscono una continuità storici tra Fratta
e Miseno, porto romano distrutto dai saraceni nel IX secolo. E'
convinzione comune infatti, che essa sia stata fondata nel 850 dai
profughi scampati alla distruzione. L'agiografia del Santo Patrono
Sossio martire misenate impreziosisce questa continuità, coinvolgendo
anche una eredità artistica-religiosa proveniente da Cuma, insieme
con la devozione di S. Giuliana.
Alcune
testimonianze archeologiche di epoca Osco-Romana (tombe -archi
dell'acquedotto atellano - otri ecc.) parlano di un territorio di
periferia agricola preesistente all'insediamento frattese, sorto al
centro tra l'arca Longobarda e quella Ducale-Bizantina della Campania,
altri documenti risalenti al IX-XIV secolo (contratti agrari,
pagamento delle decime, la configurazione Abbatiale della chiesa di S.
Sossio) parlano dello stesso come di un territorio la cui signoria era
probabilmente ecclesiastica.
Durante
la dominazione Normanna (1030-1266) Fratta assume la dicitura di Major
e si costituisce come casale legato a Napoli per gli affari civili e
ad Aversa per quelli ecclesiastici.
Al
periodo Angioino (1266-14 42) risalgono molti documenti che parlano di
"cannabarj" che commerciano nella città di Napoli. Al
periodo Araqonese-Spagnolo (1442-1507) risale la parte più antica
della struttura urbana, con la presenza di residenze che valorizzano i
palazzi con corti signorili e i "luoghi" come spazio di
lavoro contadino e di produzione canapiera. Portali di piperno
scolpito, affacci e mascheroni barocchi, trovano modo di esprimersi ad
un buon livello architettonico
Nel
1493 Frattamaggiore diviene sede della Gran Corte della Vicaria,
mentre le sue funi e le sue gomene si esportano in tutto l'impero
spagnolo, accompagnando probabilmente anche l'impresa di Cristofaro
Colombo.
Nel
1630 l'universitas frattese viene ceduta in feudo al Barone di Sangro,
ma tre anni dopo riesce ad operare il suo "Riscatto". Nel
periodo borbonico l'artigianato canapiero si concentra in una fiorente
industria tessile, che avrà modo alla fine dell'800 e all'inizio del
900 di assurgere ai massimi livelli europei.
Negli
ultimi 30 anni, la città ha cambiato la sua economia, ha modernizzato
i suoi servizi, ha esteso la sua configurazione urbana, ed appare uno
dei centri più importanti dell'hinterland napoletano. Ha dato i
natali al musicista F. Durante, al poeta G. Genoino, allo storico B.
Capasso.
Nel
1997, con il "Placet" dei Primate dell'Ordine di San
Benedetto e con l'intervento dei monaci Sublacensi, Frattamaggiore è
stata solennemente intitolata 'Città Benedettina'. Il titolo è
legato alla storia inedita custodia nella Chiesa principale, delle
sacre spoglie di San Sosio e Severino, le quali un tempo erano onorate
nell'omonimo e antico monastero benedettino napoletano.
La
città guarda ora al futuro puntando sul terziario e sul rinnovamento
anche estetico di piazze, vie e luoghi pubblici. Lo scopo è di
portare la città nel nuovo millennio in grado di affrontare le sfide
del mercato ponendo una particolare attenzione al sociale e alla
garanzie dei bisogni di base di tutti i cittadini.
Le
Chiese
S.
Sosio (X secolo) ha un ossatura in piperno con caratteri stilistici
dei gotico napoletano. E' monumento nazionale, e conserva i corpi di
S. Sosio e Severino. E' affiancata da un campanile del 1546.
S.
Maria delle Grazie e Purgatorio (XV secolo) sorta in periodo Aragonese,
nell'antica "piazza dell'olmo". Nel '500 fu sede della
Confraternita delle anime dei purgatorio. Possiede quadri d'epoca,
statue di santi e porte lignee intarsiate del 500.
S.
Giovanni Battista (XV secolo), chiesa gentilizia fondata nel 1487 da
Antonello De Lo Priete. Ha una tomba nel mezzo del pavimento e
possiede tavole d'epoca.
SS.
Annunziata e S. Antonio (XVII secolo) sorta al posto di un antico
luogo devozionale, costituito da un arco dell'acquedotto atellano.
Contiene statue lignee di santi e suppellettili dei '600
S.Ingenuino
(XVII secolo) è chiesa gentilizia dei conti Genoino. Vi sono tombe di
famiglia ed epigrafi antiche.
S.
Maria Consolatrice degli Afflitti (XVII secolo) chiesa annessa al
convento Agostiniano, trasformato nel secolo scorso in ospedale
civile. Possiede al centro una discesa al cimitero dei monaci. Sorge
nel sito con toponimo "Paritinula" risalente al IX secolo.
Immacolata
Concezione (XIX secolo) Santuario che occupa il sito dell'antica
cappella trecentesca dell'Angelo Custode. E' sede dell'antica Congrega
dei Preti e possiede altari antichi, espressioni devozionali dell'800
e un bellissimo coro ligneo nel presbiterio.
S.
Filippo Neri (XIX secolo) eretta a seguito di una scissione avvenuta
tra l'antica Congrega del Carmine e quella di S. Filippo Neri.
Possiede il corpo di S. Secondiano martire, e un archivio con antichi
documenti notarili.
S.
Rocco (XIX secolo) fondata a recupero di una antica funzione religiosa
proveniente dalla cappella quattrocentesca di S. Giuliana, posta alle
propaggini campagnole della città, e dalla devozione dell'omonima
congrega che operava nella chiesa di S. Antonio.
SS.
Redentore (1908) fondata per esigenze pastorali poste dallo sviluppo
demografico. E' luogo attivissimo di catechesi giovanile.
Maria
SS. di Casaluce sorge sul sito di una edicola ove era venerata una
antichissima icona madonnale, con caratteri bizantini (X-XV secolo). A
questa icona era rivolta la devozione dell'avito quartiere dei funari.
Maria
SS. Assunta (1956) sorta a risposta dello sviluppo demografico del
paese, possiede opere pregiate, e realizza una intensa attività
catechistica e di servizio sociale.
Maria
SS. del Carmine sostituisce una antica chiesa dei XV secolo esistente
fino al 1958 nella piazza principale. E' sede di fervente attività
giovanile.
Palazzi
- Portali - Edicole Votive - Chiazze - Monumenti
Lungo
il Corso principale e negli anfratti più nascosti del centro storico,
è possibile ammirare palazzi con antichi portali di piperno datati e
scolpiti in rilievo; cortili e giardini signorili con inferriate di
notevole bellezza, la iconografia della religiosità popolare delle
edicole votive, per l'artisticità e i colori delle sue
rappresentazioni, per le sue configurazioni architettoniche che vanno
dalla esaltazione gotica alla tradizione contadino-popolare.
Dall'antica
chiazza o' Vicario, per il Corso Durante a Chiazza Pantano, seguendo
un percorso lungo il centro storico, come Chiazza Pertuso, Novale,
Crocevia, Chiazza D'Agno, Spada dei Monacelli, è un susseguirsi
continuo di manifestazioni, le quali riportano l'antico alla realtà
attuale.
Si
incontrano tra l'altro il Palazzo della Vicaria (sec. XV), Palazzo
Lupoli (sec. XVIII), Palazzo Notarile (sec. XVII), Palazzo natale di
Francesco Durante (sec. XVIII), la Torre Civica (sec. XVIII), Palazzo
Spena, Palazzo della Colombaia (sec. XVIII), Palazzo Giordano.
|
Cardito
(estrato
da sito internet)
Sulla
base di molteplici rinvenimenti archeologici risulta ben noto che il
territorio di Cardito è stato abitato fin dall’epoca osca. Gaetano
Capasso, decano e maestro degli storici locali, già nel 1983, in un
libro dedicato a Casoria ed ai luoghi vicini, ci enumerava i seguenti
ritrovamenti di tombe osche: 1) a confine con Caivano nella zona di
Cappuccini; 2) lungo la nazionale sannitica, al confine con i depositi
di marmi della Ditta Raucci, in un terreno di proprietà Losco; 3) in
un terreno alle spalle della lottizzazione SLAI, già villa Caracciolo;
d) davanti al cimitero consortile di Cardito e Crispano; 4) nella zona
di Arcopinto, circa 300 metri a sud della chiesa di S. Eufemia di
Carditello. In quest’ultimo luogo furono ritrovate 13 tombe di cui
una sola fu rinvenuta intatta e ricca di suppellettile risalente al
III-IV secolo a.C. Il Castaldi, e con lui Capasso, ritengono sia forse
opera di una fabbrica locale sussidiaria di Cuma (fig. 1).
Ma fra l’epoca a cui risalgono questi importantissimi reperti
e gli anni in cui furono scritti i primi documenti a noi pervenutici
facenti menzione di Nollito (820, RNAM, ‘vico qui vollitum
nominatur’; 1094, CDNA, ‘casalem qui dicitur Nolitum; o di Cardito
(1114, RNAM, ‘una startiam iusta nolitum et carditum et habet a duas
partes via pulvica una que descendit ad caivanum et alia at
carditum’) per oltre un millennio vi è un vuoto di reperti
archeologici o di documenti che potrebbe dare l’erronea impressione
di un completo spopolamento.
In particolare, nella zona non vi sono evidenze di epoca romana
e il reperto più vicino risalente a tale epoca è un ipogeo, o tomba,
con pareti dipinte del I secolo d. C. rinvenuto a Caivano nel 1923 a
lato della Chiesa di S. Barbara ed attualmente custodito in precarie
condizioni in un cortile del Museo Nazionale di Napoli.
Fu
feudo della Signora Bianca Latro; quando, nel 1302, questa
viene a morire, l’investitura del casale di Cardito è concessa al
cavaliere napoletano Berardo Caracciolo, cortigiano del Re. Poi lo sarà
dei Loffredo.
Lo
storico Giustiniani, nel 1797, scrivendo il Dizionario Geografico del
Regno di Napoli, riportava l’opinione di molti che avvisano che «la
sua denominazione fosse surta dall’abbondanza dei cardoni, che
produce quel luogo appellato Lavinale, che gli è verso occidente».
Cardito
è stato posseduto, per secoli, col titolo di Principe, dalla famiglia
Loffredo. Sigismondo Loffredo acquistò Cardito l’11 giugno 1529,
insieme a Mugnano ed al Castello di Monforte; il 29 luglio 1533
l’imperatore Carlo V approvò tale compra. A Sigismondo successero:
Giovanbattista Loffredo, il figlio Cesare Loffredo, G. Battista II e
Andrea Filippo II, Carlo Loffredo, Mario Loffredo, Sigismondo Mario
Loffredo, Nicola Sigismondo Loffredo, e altri fino al principe Nicola
Maria Loffredo (1781) ed a Venceslao Loffredo.
La
famiglia Loffredo fu tra le più importanti di Napoli, per gli alti
servizi resi nella politica.
|
Orta
Di Atella
(estrato
da sito internet)
Il
primo documento conosciuto che riporta il nome di Orta (Ortula) e'
costituito dall'elenco dei fuochi redatto dal Giustiziere di Terra del
Lavoro nel 1267 sotto Carlo I D'Angiò, re di Napoli, e' riportato sui
registri angioini.
In
esso sono specificati il numero delle famiglie che vi abitavano
(fuochi) e le somme per le quali erano tassati.
L'origine
del toponimo e il suo significato sono da ricollegare etimologicamente
al termini latino Hortus (orto) da cui Hortulus, ortula (piccolo
orto), secondo i Romani "terreno coltivato e buono per
antonomasia", quasi in contrapposizione al "subsecivus
ager" (ritaglio di terreno non coltivabile) da cui Succivo, i cui
abitanti chiamano ancora oggi quelli di Orta, ortolani e non ortesi.
Nel
1278, sotto Carlo I d'Angiò , Orta fu feudo di Guglielmo de la
Gonesse, ammiraglio di Francia e del regno di Napoli.
Qualche
anno dopo passo' a Gabriele del Balzo.
Nel
1335 il casale risulta appartenere ad Angela Stendardo, figlia di
Guglielmo, che lo porto' in dote a Giovanni Cantelmo cui andò sposa.
Dal
1519 fu feudo della famiglia Pignatelli.
Nel
1556 la corte napoletana confiscò alla famiglia Pignatelli parte del
casale di Orta, loro feudo e proprietà, per aver partecipato ad una
ribellione contro il re.
Nel
1625 apparteneva alla famiglia dei Tocco la quale lo venderà nel 1626
ad una Maria Caracciolo dei duci di Grifalco.
La
popolazione del casale che viveva esclusivamente di lavoro agricolo
producendo grano, granone, canapa e vino asprino, cominciava, intanto
a prendere piu' coscienza nella necessità di ottenere maggiori
diritti e libertà.
Nel
1648 Orta raggiungeva il numero di 400 abitanti e in quell'anno avviò
un primo processo di liberazione dai Caracciolo.
Caduta
la feudalità con leggi napoleoniche, casali e feudi si avviarono
all'autogoverno e cosi fu per Orta che continuerà a chiamarsi
castello di Orta.
Solo
dopo l'unita d'Italia dal 1862 cambierà nome e stemma ed avrà un
territorio vasto di poco piu' piccolo dell'attuale.
Nel
1928, con i comuni di Sant'Arpino e Succivo, ha fatto parte fino al
1946, del comune di Atella di Napoli, il cui municipio fu costruito
nell'area urbana dell'antica Atella e dove da quarantacinque anni è
abbandonato.
I
secoli XVII e XVIII portarono Orta nella storia della pittura.
Nome
di grossi artisti e di altri meno conosciuti, alcuni nati proprio ad
Orta, emergono spesso dagli scritti e dalle tele conservate nelle
chiese del paese.
Fino
a venti anni fa, infatti si conservavano nella chiesa del convento due
tele: una S.Agata e un S.Stefano attribuiti a Massimo Stanzione, uno
dei capiscuola della pittura barocca del seicento napoletano, nato ad
Orta nel 1585 e morto a Napoli durante la peste nel 1656.
E'
rimasta nel convento una tela raffigurante S.Salvatore che miracola
uno storpio, opera del settecento, forse del Malinconico.
Nacquero
ancora ad Orta: Giuseppe Marullo, allievo di Stanzione, nel 1615,
morto a Napoli nel 1685 e Paolo Domenico Finoglia, nato nel 1590 che
ha lasciato opere a S.Martino in Napoli e a Conversano dove mori' nel
1645.
Nella
prima metà del XVII secolo chi percorreva via S.Donato, partendo dal
centro di Orta, poteva osservare un'edicola e i ruderi di un convento
con annessa una chiesetta.
La
nuova chiesa fu eretta a partire dal 1643 e probabilmente l'intero
complesso monastico fu completato nel 1692.
La
chiesa, fu il primo edificio ad essere costruito, è retta da quattro
pilastri su cui poggia una finta cupola.
Sempre
nel '600 la chiesa fu abbellita con stucchi ed affreschi.
Di
questi affreschi restano ancora visibili due pitture su S.Donato e due
su S.Salvatore.
Con
Giacchino Murat il convento fu chiuso.
Una
seconda chiusura il convento l'ebbe dopo il 1862 con l'unità
d'Italia.
Solo
nel 1898 i francescani della comunità di terrasante ne riacquistarono
dal comune una parte e l'uso della chiesa.
La
chiesa di San Massimo fu edificata in stile neoclassico tra gli anni
1860 e 1880, dopo la demolizione di una precedente, molto più piccola
dell'attuale.
La
nuova costruzione la si deve al sacerdote Nicola D'Ambosio che tenne
la parrocchia dal 1856 al 1906.
La
costruzione ottocentesca, in posizione elevata come la precedente, ha
un importante gradinata ellittica.
Nell'interno
conserva alcune pregevoli statue lignee, due tele e diverse lapidi.
La
cappella congrega del Rosario fu costruita nella seconda metà del XVI
secolo, certamente negli anni successivi alla battaglia di Lepanto del
7 ottobre 1571, quando si diffuse in tutta Europa il culto della
Madonna del Rosario dopo la vittoria dei cristiani contro i musulmani.
|
Sant’Arpino
(estrato
da sito internet)
Sull’attuale
territorio comunale di S.ARPINO gli storici fanno ricadere gran parte
del sito dell’agglomerato urbano dell’antica Città di ATELLA.
Questa, la cui origine e ancora avvolta nel mistero, e riportata,
nelle scarne fonti bibliografiche, come centro urbano organizzato a
partire dal IV secolo a.C.. Ritenuta importante Città degli OPICI (=OSCI),
popolo anch’esso misterioso, fece parte di una Confederazione di
centri urbani Osci che aveva Capua come capitale. Città Stato, con
propria autonomia amministrativa e con proprie monete dalla scritta
ADERL, Atella vivrà sempre nell’orbita politica di Capua. Di questa
seguirà le sorti quando, durante la conquista romana dell’ Ager
Campanus, nel 338 a.C. riceverà, come Città confederata di ROMA, il
rango di MUNICIPIUM e la "CIVITAS sine suffragio". Nel 211
a.C., però, per essersi schierata con Annibale, Atella venne
severamente punita e ridotta a PREFETTURA. Decimata del Senato, perse
ogni suo bene, i suoi abitanti vennero forzatamente tradotti a CALATIA
e le sue case vennero date agli abitanti di NUCERIA ALFATERNA, Città
distrutta da Annibale per non aver tradito Roma. In seguito ritroviamo
Atella come MUNICIPIUM attorno al V secolo a.C., quando CICERONE ne
divenne difensore per alcuni possedimenti della Città nelle GALLIE.
Nei
secoli successivi Atella venne ingrandita ed arricchita di splendidi
monumenti quali il TEATRO e L’ANFITEATRO ove, alla presenza di
AUGUSTO, VIRGILIO avrebbe letto le GEORGICHE. Lo stesso Augusto,
secondo alcune fonti, dedusse una colonia di veterani in Atella.
Atella divenne famosa in tutto il mondo antico per un genere teatrale
in lingua osca: le FABULAE ATELLANAE. Di esse, rappresentanti i vari
tipi contadini, sono rimaste note le maschere PAPPUS, DOSSENNUS,
BUCCUS e MACCUS dal quale si fa discendere PULCINELLA. Atella, sin dai
primi secoli del Cristianesimo, divenne Sede Vescovile ed in essa
sarebbe transitato anche Fapostolo S. PAOLO nel suo viaggio verso
Roma. Il Vescovo Atellano più famoso fu S. ELPIDIO, cacciato
dall’AFRICA con altri 11 compagni durante la persecuzione dei
vandali ed approdato in Atella ove, immediatamente fuori le mura di
questa, avrebbe fondato una Chiesa nel 455 d.C., al momento della
distruzione della Città da parte dei Vandali di GENSERICO. Attorno a
questa Chiesa sarebbe sorto il villaggio di S.ARPINO. Atella continuerà
ad esistere, in mezzo a guerre tra longobardi e bizantini, fino all’
XI secolo quando, con l’arrivo dei Normanni, venne da questi fondata
la Città di AVERSA con le sue rovine. La sede Vescovile atellana
venne assorbita dalla nuova Città.
La tradizione ed alcuni scavi effettuati nei decenni passati
hanno fatto individuare il sito occupato dal centro urbano in un
dislivello altimetrico a forma di "terrazza" posto tra i
paesi di ORTA, SUCCIVO, FRATTAMINORE e S.ARPINO ma ricadente al 90%
nel territorio di quest’ultimo. Sulla "terrazza" esiste
ancora l’ultima testimonianza archcologica emersa, il CASTELLONE, in
opus reticolatum risalente, forse, al Il secolo d.C. Nuirierose
necropoli, invece, sono state ritrovate un po 1 dappertutto nei
territori dei paesi sopra menzionati. Un progetto di Parco
Archeologico, che l’Amministrazione Comunale sta avviando con il
concorso della Soprintendenza ai Beni Archeologici, potrebbe chiarire
definitivamente, laddove fosse condotta una sistematica campagna di
scavi, tutti i misteri che ancora avvolgono l’origine ed il sito
reale occupato da Atella.
|
Succivo
(estrato
da sito internet)
I
primi documenti certi, riferiscono che il " Casale di Suffici
" nel 1121 fu donato alla Chiesa di Aversa da Giordano, principe
di Capua (i conti di Aversa divennero principi di Capua).
Negli archivi parrocchiali una nota riporta che Papa Innocenzo
II, nel 1142, affidava il casale di " Sucio " alle cure del
vescovo di Aversa; sempre nell'archivio parrocchiale, in una nota
datata 1759, è scritto che negli " Atti di Papa Innocenzo II
" si affermava che il nome " Sucío " deriva dal
termine " Sufficio " e per caduta delle sillabe " ffi
" si sarebbe avuto " Sucío ".
Recenti
studi sulla divisione dell'Ager Campanus, ossia della Centuriazione,
fanno risalire il nome Succivo al termine latino " Subsicivus
", " Subcisivus Agery ".
Col
termine " Subseciva " i Gromatici indicavano ritagli di
terra che non raggiungevano l'estensione d una centuria; tali ritagli
(cfr. A, Gentile: La Romanità dell'agro campano alla luce dei suoi
nomi locali) potevano risultare o in " Mediis Centuriis " e
riguardavano in genere appezzamenti di suolo di cattiva qualità e per
conseguenza non assegnati o all'estremità della pertica, al limite
dell'agro Centuriato e pure non assegnabili.
L'abitato di Succivo, infatti, si trova all'estremità della
pertica, proprio al limite dell'agro Centuriato, a sud del Decumano
Massimo e dista dall' " Umbilicus " quanto ne dista, al
nord, l'ultima traccia percebile di Cardine.
La denominazione Succivo, sarebbe collegata all'appellativo
gromatico latino cosi ricostruito: Subsicivum - Su (ssi) civum, in cui
l'aggeminazione di " C " si può ben spiegare per l'influsso
analogico di altri composti con " sub "; cfr. Soccavo da
cavus; poi Succhivo da Clivus...
L'ipotesi linguistica è confortata dalle condizioni del
terreno, in quanto è proprio nella zona di Succivo che non appaiono
più tracce meridionali della limitazione romana del suolo e pertanto
si è indotti a pensare, scrive sempre Gentile, che per Succivo stesso
passasse il confine dell'Ager Campano.
Nel corso dei secoli Succivo seguì le vicende della Diocesi di
Aversa dalla cui Mensa Vescovile continuò a dipendere.Nel XVIII
secolo vi operava ún'importante congregazione religiosa, ospitata in
un palazzo a corte dell'epoca al centro del quale, ancora oggi, si
ammira un pozzo a cupola e un tipico loggiato con colonne e capitelli.
Nel 1713 i Succivesi riuscirono a difendere strenuamente il
loro paese dai francesi in un memorabile scontro sul ponte di
Teverolaccio; dal 1878 e fino agli inizi di questo secolo fu sede di
Pretura mandamentale, dal 1974 è stata trasferita a Sant'Arpino.
Di sicuro valore artistico è la Chiesa della Trasfigurazione
che è anche la Parrocchia del paese; costruita nel XVI secolo, subì
una prima trasformazione a partire dal 1670 quando, a seguito di un
furioso incendio causato da un fulmine, andò distrutto il prezioso
soffitto ligneo a cassettoni: a croce latina con una cupola centrale
ha il maggior pregio nella semplicità e in un imponente organo che,
restaurato recentemente, occupa il presbiterio.
Sistemati in alto lungo le pareti della Chiesa, fanno bella
mostra di sé 17 dipinti tondi su tela, raffiguranti Cristo, gli
Apostoli e gli Evangelisti: furono commissionati da Federico Pastena,
allora sindaco del paese, al pittore Tommaso De Vivo, nel 1864. Di
buona fattura sono pure alcune statue lignee del '600 salvate
dall'incendio della precedente Chiesa. Di notevole interesse, come
quella di Orta di Atella e di Sant'Arpino, è l'architettura di alcune
case a corte.Il complesso di Teverolaccio, costituito da una casatorre
del XVI sec. con annessa masseria del XVIII sec., è ad un chilometro
dal centro di Succivo lungo la strada per Gricignano-Aversa.
La torre fu posta a guardia di grandi strade di comunicazione
tra Aversa ed Acerra, Capua e Napoli, nella Liburia Atellana.Di
architettura semplice, in origine non presentava alcuna entrata al
livello del terreno; i soldati di guardia, infatti, vi accedevano con
l'aiuto di funi con le quali raggiungevano i davanzali delle finestre
e dove sono ancora visibili i segni. La masseria, invece, è una
tipica costruzione rustica deL XVIII sec., dotata di un grande
cortile, da aie e cantine; per un certo tempo appartenne alla famiglia
Pignatelli. Pure del XVIII secolo è una vicina chiesetta, dedicata a
S. Sossio, che conserva un pavimento in cotto maiolicato di buona
fattura e un pregevole portale in marmo, probabilmente già utilizzato
in una chiesa di maggiore im portanza, forse andata distrutta.
|
Afragola
(estrato
da sito internet)
Recenti
studi hanno portato ad una conoscenza più completa e profonda
dell'antica Afragola; anzi frequenti sono i reperti archeologia che
vengono alla luce, e testimoniano che nelle nostre terre, già nei
tempi antichi, era fiorente la vita. Già nel 1830, il Castaldi,
dinanzi alle scoperte di molti sepolcri con monete e vasi antichi,
scriveva: la vicinanza di Acerra, città assai vetusta può essere la
cagione che nello agro afragolese si rinvenghino tali sepolcri ed
altri vecchi monumenti. Anche per il de Rosa, il rinvenimento dei
reperti archeologia e la scoperta di qualche rudere o di qualche
sepolcro, non sono considerati come testimonianza di vita e quindi di
attività autonoma, svolta nei luoghi, ove sorgerà Afragola, ma
giustificati come logica conseguenza della vicinanza di Acerra. A metà
dell’800, in località Padula, presso il Salice, vennero scoperte 4
tombe greche antichissime, composte di grandi pezzi di tufo, connessi
senza cemento. La numerosa suppellettile tombale raccolta veniva ad
arricchire la collezioni di antichità e di arte del Real Museo
Borbonico di Portici. I corredi funerari di quelle tombe, ritenute
allora del periodo greco, per il de Rosa sono molto vicini ai tipi di
corredi rinvenuti dallo stesso in tombe appartenenti a necropoli
sannitiche, databili al IV-III sec. a.C. Per il de Rosa si tratterebbe
di una serie di paghi di età sannitica, sparsi nell'agro afragolese,
a mo' delle attuali masserie; piccoli nuclei rustici, intorno ai quali
si svolgeva la semplice e umile vita dei pastori sanniti. Gli scavi
condotti nelle zona «Cinque vie», località Vatracone, diedero una
discreta necropoli, risalente ai secoli IV-III a.C.; alla «contrada
Regina», e in via F. Cavallotti vennero fuori altre tombe; quelle di
via Cavallotti erano da attribuirsi all'età romana. Piuttosto
fortunata fu la campagna di scavi archeologia, dalla località «Masseria»
alla località «Cantariello», negli anni 1960-1961; a Cantariello
vennero alla luce tracce di sostrutture di villa di età romana. Tra
le vere e proprie necropoli sannitiche, appartenenti agli antichi
paghi, esistenti sul territorio afragolese, va annoverata, una piccola
necropoli di otto tombe, delle quali una di gran valore scientifico.
E' questa la tomba esposta, completamente restaurata, nella sala LXVII
del Museo Nazionale di Napoli. Rinvenuta priva del suo corredo
tombale, ma integra nella parte pittorica, ci consente di datarla, non
solo, quanto ancora di formulare ipotesi sulla tecnica pittorica
funeraria campana. Molti reperti archeologia vennero a luce durante i
lavori di sterro del tratto di autostrada Napoli-Bari. Vennero a luce
finanche i resti di un antico torchio per vino, qualche moneta della
età di Adriano, alcuni doli (databili al II-III sec. a.C.), una
cisterna di probabile età sannitica, abbandonata in età romana, un
cunicolo per lo scorrimento delle acque (forse un antico acquedotto).
Nel 1965, all'interno del cimitero venne a luce un'altra tomba
sannitica, di fine secolo IV a.C. con un corredo di ben 12 pezzi; i «quadrati»
del cimitero afragolese conservano, nel sottosuolo, molte tombe
antiche: l'antica necropoli sannita afragolese, coincide con una parte
dell'area del Cimitero locale. Il
nome di Afragola. Per coloro che fossero desiderosi di approfondire il
tema del nome e della etimologia di Afragola, è opportuno leggere,
attentamente, quanto abbiamo scritto nel capitolo IV del volume: «origine
vicende e sviluppo di un casale napoletano». Mentre sdegnosamente
rifiutiamo le cervellotiche tesi affacciate da taluni, con un pizzico
di audace ignoranza, ricordiamo appena che il nome di Afragola
troviamo noi riportato, nei documenti e nei testi antichi, nei modi più
vari: Afragone, Afraore, Fragola, Afraole, Aufragole, Afragolla,
Afrangola, Frabola, Afraone, Aufrangola, Fravolo, Afragola. Possiamo
leggere tali nomi negli scritti di Summonte, Chiarito, Castaldi,
Sacco, Capaccio, De Luca - Mastriani, Giustiniani, B. Capasso.
Afragola prende il nome dalle fragole; quindi la a è derivativa, e
non privativa: la terra delle fragole. Il terreno afragolese produce
tuttora fragole, alla pari di quello carditese, casoriano, frattese; a
Frattamaggiore era fiorente un mercatino di fragole. La fragola
preferisce terreni asciutti per fruttificare, e mai paludosi o troppo
freschi. E quasi a sconfessare le insulse discussioni di talune
animelle locali che si illudono di far sempre da maestri, ci sia
consentito riferire il parere di un insigne Maestro della Geografia
della Campania, Domenico Ruocco; per il quale «le fragole e gli
asparagi trovano l'area di maggiore diffusione a nordest dei Campi
Flegrei, nell'alta pianura tra Afragola, Cardito e Frattamaggiore ed
hanno in quest'ultima città il principale centro di smistamento e a
Napoli il grande mercato di assorbimento». Gli antichi villaggi
I principali villaggi che fiorirono in territorio afragolese
sono: Arcopinto, Canterello, San Salvadore delle Monache, Arcora,
Salice. Arcopinto - Sul tempo in cui sorse Arcopinto non abbiamo
elementi certi; una data però abbiamo noi potuto assicurare, quella
del 1025, letta in documento coevo, nel quale incontriamo vari nomi di
villaggi, allora già esistenti: Casa aurea (Casoria), Paternum ad
sanctum Petrum (San Pietro a Patierno). Bisogna però andar senz'altro
indietro, giacché si tratta di due agricoltori Cicino Russo, del fu
Palumbo, che abitò in Arcopinto, e Gregorio Capuburria del fu Leone,
che abitò a Casoria, ed era cognato del precedente. Arcopinto quindi
era sicuramente uno dei villaggi di Afragola, situato lungo la strada
Regia Napoli-Caserta, nel luogo che tuttora conserva il medesimo nome.
Il nome si vorrebbe derivato o da qualche antico arco, avanzo
probabilmente dell'acquedotto che di lì passava raggiungendo Atella
per una diramazione secondaria, o per qualche pittura di carattere
religioso, ma di un certo interesse, se finì per dare il nome al
piccolo centro agricolo abitato. Questi primi coloni ebbero anche una
loro chiesetta, dedicata a S. Martino, il santo guerriero che questi
veterani avevano scelto a loro patrono; come, più tardi, prenderanno
a santi patroni S. Giorgio, legato ad una fastosa leggenda di audace
guerriero, e S. Michele, principe delle milizie celesti. Della chiesa
di S. Martino troviamo ancora un cenno nella S. Visita del Card. Decio
Carafa, nel 1619. Nel 1768 i ruderi delle vecchie case e della
chiesetta vennero abbattuti, per ordine del R. Governatore di Afragola,
perché ricovero di malfattori d'ogni risma e di ladri. Coll'abbattimento
coincise, non certo fortuitamente, la visita a Napoli della Regina
Maria Carolina d'Austria. Documenti del tempo angioino ci informano di
una «Villa Arcus pinti», di un «Casale Arcus pinti», «loco ubi
dicitur Arcus pintus», Il Chiarito, nel '700, confonde Archora con
Arcopinto. Quest'ultimo restò, ad un certo momento, disabitato; su
Archora, invece, sorgerà Casalnuovo. Canterello - Anche questo villaggio fiorì, nei tempi
antichi, in agro afragolese. Si ha memoria di esso in documenti della
metà del secolo XII. Sotto Re Carlo Il e Re Roberto, è riportato
come casale, o come villa. La zona di Canterello doveva svolgersi a
oriente di Afragola, verso la contrada del Salice.
S. Salvadore delle Monache. Si tratta di un villaggio,
distrutto fin dai tempi antichi, e che era in distretto di Afragola.
Di esso fanno cenno documenti dei tempi di Federico Il e di Carlo 1, e
lo presentano come casale. Esso aveva anche la sua chiesa, dedicata a
Gesù Redentore, e dipendente dalla Chiesa metropolitana di Napoli. Il
«beneficio» della Chiesa, distrutto il casale, passerà alla chiesa
di S. Maria d’Aiello. Arcora
- Si trova fatta menzione di questo casale fin dal 949, in un antico
diploma. Sotto i Re Carlo I e Carlo Il d'Angiò, tra i villaggi di
Napoli c'è «Villa Arcore», «Casalis Arcore». Il nome dovette
trarre origine da qualche arco ivi esistente per la conduttura delle
acque del Serino. Sotto i Re Angioini dovette, per un periodo,
rimanere senza popolazione: Arcora non habitatur; propterea non
taxatur. Nel caso, chi avrebbe dovuto pagare le tasse? La confusione
del Chiarito, che confonde Arcora con Pomigliano d'Arco, è
grossolana. Pomigliano mai ha sofferto un fenomeno di spopolazione;
come, nel caso, Arcora, già al principio della Dinastia aragonese.
Tra i casali dell’ager neapolitanus, accanto ad Arcora vengono
rispettivamente elencati Pomigliano (Pomilianum foris Arcora) e
Licignano (Licinianum foris Arcora). Ormai disabitato, il territorio
di Arcora venne concesso, per reale clemenza di Ferdinando I
d'Aragona, ad Angelo Como o Cuomo, il quale vi fece sorgere vari
gruppi di case, che prenderanno il nome di Casale Nuovo. La grave
vertenza fra Como e Cesare Capece Bozzuto, barone della parte feudale
di Afragola, si compose - per sovrano interessamento di Alfonso
d'Aragona -, con un sopralluogo di tecnici e di avvocati – : il
nuovo villaggio, costruito in territorio di Arcora, era sotto la
giurisdizione di Como; ma Como doveva pagare al Bozzuto la somma di
once trenta (come era stato stabilito dagli arbitri), e l'apprezzo.
Salice - Si tratta di un altro degli antichi villaggi, fioriti
in agro afragolese. Di esso dava cenni, nei suoi manoscritti, Matteo
Spinelli da Giovenazzo: si descrive la partenza di re Carlo 1 d'Angiò,
nel 1265, da Benevento per portarsi a Napoli. Al Salice, il 24
febbraio, ricevette l’omaggio dei Nobili e dei popolani della Città.
I 18 Cavalieri, che facevano parte del governo della Città, uniti al
popolo, accompagnavano M. Francesco Loffredo, Eletto del Governo:
disceso di cavallo con i compagni, presentò al Re le chiavi della
Città, parlandogli molto acconciamente in francese; ma il Re «con
grande umanità comandò che cavalcasse, e venne ragionando con lui un
gran pezzo». Il Summonte riferisce un fatto d'armi seguito, nel 1423,
tra le truppe di Re Alfonso I con quelle di Sforza, capitano della
Regina Giovanna II. V'era anche, sulla regia strada delle Puglie, un
tempietto dedicato a S. Maria di Costantinopoli. Verso il Salice,
v'era anche una contrada detta «lo Salvatoriello», che doveva essere
ubicata, per il Castaldi, a settentrione di Afragola, dopo la
chiesetta di S. Maria la Nova. Il luogo conserverà poi il nome di S.
Salvatore al Vatracone. Dovette qui sorgere anche un tempietto,
dedicato al SS. Salvatore: «S. Salvatore ad Petraconem », cioè «ad
Petri Iconem » (presso la icone o immagine di Pietro). L'Ara augustea
- Anni addietro anche ad Afragola si poté ammirare un'ara augustea.
Il cippo ad ara di travertino misurava in altezza m. 1,17, in
larghezza m. 0,55, ed era grosso m. 0,68. Aveva un bel capitello,
lavorato finemente a becco; recava la dedica, in caratteri dell'epoca:
ad Augusto Imperatore, AVG. SACR. (Augusto Sacrum). La base ricordava
l'epoca nella quale il Senato decretava ad Augusto Imperatore gli
onori della Divinità. E' da credersi che questi antichi abitatori
abbiano alzata quest'ara per un atto di devozione, e forse anche di
ringraziamento al divino Augusto Imperatore. La base romana, studiata
dall’illustre Matteo Della Corte, e relazionata negli Atti
dell'Accademia dei Lincei, attribuita al I secolo, era stata usata, in
un primo tempo, nella locale chiesa, come acquasantiera; in un secondo
tempo, poi, quel masso, abbandonato perché non più utilizzabile, sarà
adibito, con squisito senso pratico, dai contadini del luogo con
funzione di scansacarri, ad un angolo di piazza S. Marco. Su quella
base onoraria, conservata poi nel palazzo municipale, il Can. Aspreno
Rocco, nel 1948, alla vigilia della erezione del monumento al poeta
umanista e archeologo Gennaro Aspreno Rocco, in piazza Gianturco,
pensava di usarne come piedistallo al busto dell’illustre zio poeta.
Quale fu la sua maraviglia, quando venne a conoscere, incredibile ma
vero, che quel marmo era finito in frantumi, per esser utilizzato come
brecciame. Altre
testimonianze - Valga la pena di dare un cenno di altri importanti
centri di vita e di storia; così, sulla via interna che dal confine
di Crispano raggiungeva l'angolo di via Diaz di Caivano, nelle
vicinanze della chiesa di S. Barbara, nel 1923 si ebbe la scoperta di
un sepolcro atellano, in occasione di lavori di sterro per fondazione.
L'ipogeo, ricostruito in un cortile del Museo Archeologico Nazionale
di Napoli, offre, a Neapolis, l'unico documento di pittura della fine
del I secolo d.C., successivo cioè alla ricca documentazione
pittorica delle città vesuviane. La «Storia di Napoli» ne dà una
riproduzione a colori nel I volume. Né ancora deve sfuggirci che nel
591 era già fiorente a Campiglione di Caivano, a qualche Km. da
Afragola, un tempietto, dedicato alla Madonna, e del quale in
quell'anno ebbe a interessarsi, in una lettera, lo stesso Papa
Gregorio Magno. Il Castaldi affermò essere quella chiesetta già un
tempio cristiano adulto nel sec. VI. Forse, tra Caivano ed Afragola,
si era già trapiantato un ramo, della famiglia Pisone di Roma. Lo
stesso Augusto aveva da noi trapiantata una colonia romana per
ripopolare Atella, che accennava a finire. Forse gli stessi Pisoni,
con gli altri patrizi romani avevano seguito gli Imperatori (Tiberio e
Ottaviano), che ad Atella venivano a diporto, e anche per assistere
alle popolari fabulae, e avevano acquistato estensioni di terreno, ad
un paio di Km. da Atella. Si vuole che la sala adattata a riunioni
religiose, dopo l'Editto di Milano (313), sia stata trasformata in una
chiesina, aperta al pubblico culto. Piccole necropoli son venute a
luce, in vari periodi, al confine di Cardito-Afragola, in località S.
Eufemia di Carditello, e dalla interessante suppellettile sono state
datate al IV-III sec. a.C. La ipotesi avanzata dal Castaldi, che nella
zona fiorisse qualche sottofabbrica (di grandi Fabbriche Cumane) per
elaborazione di corredi funerari, rivela tra l'altro come anche ad
Atella fossero presenti i Sanniti che, alla fine del V secolo,
scendendo dai monti alle coste, avevano invaso quasi intera la
Campania. L'antico sito
di Afragola - Bartolommeo Capasso, ci presenta, in una breve
descrizione, l'Afragola di mille anni addietro: «Ad mille passus
circiter a Fracta niaiori versus Neapolim et ad orientem tunc temporis
extabat Arcupintum, cuius loci nomen tantum superest, et Cantarellum,
ubi prope locus Gualdum seu Gualdellum, ecclesia S. Salvatoris,
obedientia monasteri S. Gregori maioris a qua deinceps quidam vicus S.
Salvatoris de ille monache dictus fuit. In viciniis nunc occurrit
Afragola, tunc Afraore, ex illorum locorum destructione adauctum. Ibi
campus S. Severini et formae veteris aquaeductus, unde Cantarelli
supra memorati nomen ». Cioè, verso il 1000, a mille passi
dall'attuale Frattamaggiore verso Napoli e ad oriente, si trovava il
villaggio di Arcopinto (di cui oggi appena sopravvive il nome), e
quello di Cantarello; nelle vicinanze una specie di bosco e anche di
palude; poi la chiesa di S. Salvatore, che dipendeva dal monastero
napoletano di S. Gregorio maggiore. Da questa chiesa trasse nome un
altro villaggio, S. Salvatore delle monache. In queste vicinanze sorse
Afragola, che fu incrementata dalla distruzione di questi precedenti
villaggi. Vi si trovava anche il «campus» di S. Severino, e le
strutture di un vecchio acquedotto (di qui dovette trarre nome lo
stesso villaggio di Cantarello). Lo stesso Capasso ha letto un
documento importantissimo datato al 1130 o 1131, scritto in caratteri
longobardi. Per la prima volta, secondo il Capasso, si aveva menzione
di Afragola. Nello stesso documento, in cui si descrivono concessioni
di vari fondi rustici fatte all'abbate del monastero napoletano dei
SS., Severino e Sossio, si fanno anche cenni di altri villaggi, allora
fiorenti: Licignano (presso Casalnuovo), Sant’Arcangelo (presso
Caivano, ed ora solo pochi ruderi), Cantarello, S. Salvatore delle
monache, villaggio e chiesa di S. Martinello e di Maria, di Mugnano,
Crispano, Calvizzano, PugIiano, Qualiano. Si parla ancora della terra
di S. Giorgio e di S. Maria. Cioè, al 1131 almeno dovevano esistere
due benefici, rispettivamente intitolati a S. Giorgio e a S. Maria, da
cui dovettero trarre origine le due omonime chiese parrocchiali,
tuttora fiorenti. Da qualche documento di epoca normanna possiamo
andare ancora indietro alla data del Capasso, cioè del 1131. Infatti
è dell'agosto del 1143 una «carta di donazione», richiesta da un
tal «Pagano, figlio del fu Nicola, de la Frahola», e dalla moglie
Mansa, che donavano un terreno della estensione di 22 quarte, nella
contrada di Cupolo non lungi da Aversa. E' evidente che la esistenza
di Afragola debba per lo meno anticiparsi di un ottantanni. Nel «Codice
Diplomatico Normanno», di Alfonso Gallo, molti documenti danno cenni
di Afragola. Vogliamo ancora ricordare che, tra i villaggi
preesistenti alla città di Aversa, e poi distrutti, v'era anche
Casapascata, una antica «villa», già ricordata da Pietro Diacono.
L'illustre storico ricorda che questa villa, esistente in Liburia, nel
1105 fu donata ai Benedettini da Vilmundus della Afabrola (cioè era
nativo di Afragola). Il
grande affresco e la fondazione del Casale - La leggenda che Afragola
sia stata fondata da Ruggero il Normanno, manca di ogni fondamento
storico. Nel 1886, il pittore Moriani, chiamato ad affrescare il
salone comunale, volle raffigurarvi l'omaggio del popolo al Sovrano,
che gli avevano suggerito come fondatore della città. Il gran quadro,
che adorna il cielo della vasta sala, presenta sullo sfondo di una
selva lontana la maestosa figura di Ruggero, circondato dai primi
coloni soldati, e in atto di dare loro il possesso delle terre loro
assegnate. A fare lieta accoglienza al Re, accorrono gioiosi i
contadini che si trovano per quelle campagne, mentre fanciulli e
giovanette curve al suolo si danno grande premura di raccogliere le
rosse e piccole fragole, ed in gara festosa ne fanno dono al beneamato
Sovrano. Ciò vuol dire che mille anni addietro il terreno agrario
afragolese produceva anche le fragole; tuttora lo stemma di Afragola
raffigura appunto un rametto che porta delle fragole. Se si trattasse,
nel termine di Afragola, di una a privativa (e cioè senza fragole), e
non derivativa, l'andare in giro con uno stemma che presenta fragole,
o è una provocazione, o è una ridicolaggine; del che bisognerebbe
far giustizia. Lo stesso nostro storico locale, il Castaldi, che
scriveva nel 1830, nelle sue «memorie » afferma che Afragola «ha
preso sicuramente il suo nome dalle Fragole, e dall’a privativa, che
vuol dire absque fragis, perché la coltivazione di queste piante sì
comune in Fratta Maggiore, in Cardito, ed in altri paesi limitrofi non
è stata in uso presso gli Afragolesi ne' tempi scorsi, per quanto è
a mia notizia, né v'è attualmente». Dobbiamo riconoscere che il
Castaldi, discutibile storico ma buon umanista e uomo di legge, era
poco e male informato. Infatti, il terreno afragolese produce fragole.
Inoltre, riguardo alla fondazione, il Castaldi scrive: « E' vecchia
tradizione, che sotto il Re Ruggiero I, fondatore di questa monarchia,
il Comune di Afragola cominciò a sorgere sulla Regia strada di
Caserta propriamente nel luogo denominato la Regina tra Arco Pinto, e
Cardito, dove si costruì benanche una Chiesa dedicata a S. Martino, e
che poco tempo dopo, per isfuggire gl'inconvenienti del continuo
passaggio delle truppe, fu trasferito nel sito, ove attualmente si
trova ». Contro i molti, i quali affermano che Afragola sia stata
fondata da Ruggero I o Ruggiero, tra il 1139-1140, facciamo notare non
solo che la cittadina già precedentemente esisteva, ma ancora che
Ruggero I si era spento nel 1101, mentre è Ruggero II che viene a
morire nel 1154. Che Afragola cominciasse a sorgere nel 1140, al tempo
di Ruggero I, fu affermato prima dallo Stelleopardis, poi dal
Giustiniani; Castaldi, senza rendersi conto di quanto riafferma,
ripete l'errore dei due dimenticando, tra l'altro, che già da 39
anni, nel 1140, il I Ruggero era nella tomba. Non vogliamo negare a
priori questa incipiente opera di colonizzazione operata dal Sovrano
napoletano, chiunque esso sia; d'altra parte ad Afragola non dovevano
mancare terreni boschivi, e forse anche paludosi, al confine coll'agro
acerrano, per dove scorreva il Clanio. Ma non poteva pretendere di
fondare una cittadina il Sovrano, con un piccolo gruppo di famiglie
che venivano ad abitare sulla nostra terra. Afragola era già
esistente, e doveva avere anche una certa importanza se il Sovrano la
scelse perché desse ospitalità a questo gruppo di famiglie di
ex-combattenti (in gergo nostro), che creavano una prima rete di «poderi
». Le antiche famiglie -
Che il Ruggiero avesse preteso fondare una città con 10 famiglie, ci
sembra un po’ poco. Lo Stelleopardis, alla cui paternità si è
voluto attribuire la storia delle nostre origini, con tutte le
possibili conseguenze, ritiene che i soldati premiati appartenessero
alle seguenti famiglie: Castaldo, Fusconi, Iovini, Muti, Tuccillo,
Commeneboli, Fortini, del Furco, Cerbone, de Stelleopardis; di queste,
le prime otto nel 1140 vennero ad abitare e a fondare Afragola; le
ultime due vi si trasferirono, da Napoli, solo quando Afragola passò
sotto il dominio dell'Arcivescovo di Napoli. Dopo la fondazione, altre
famiglie vennero ad abitare Afragola: Laezza, Cimini, Costanzo, Russo,
Piscopo, Caponc, Guerra, Herrichelli, de Silvestro, Zanfardini, e
altre. Su queste famiglie, ritenute fondatrici, noi abbiamo le nostre
giuste riserve; e dobbiamo lamentare che la storia locale non si
scrive ripetendo il Castaldi il Giustiniani, ed il Giustiniani lo
Stelleopardis. Le conseguenze sono poi molto evidenti; ed è il «vero
storico» a soffrirne le conseguenze. Le antiche famiglie, che
abitarono Afragola nel periodo angioino, e che abbiamo potuto
raccogliere dalle testimonianze dei ricostruiti Registri angioini,
rispondono alle seguenti: Ioannes de Laurentio, Sperindeo, Donatus
Fuscus, Neapolitanus de Fusco, lacobus Biscont, Ligorius de Ursone,
Petrus de Ursone, Mattheus de Mariliano (queste, riferite agli aa.
1271-1272). Per gli aa. 1272-1276, ricordiamo ancora di altre
famiglie: Fredericus Castaldus, Robertus Tubinus, Andreas de Tamaro,
Iohannes de Presbitero, Peregrinus de Presbitero, Iacobellus de Dopno
Petro, Stephanus Fallata, Composita Mulier, Pascalis Campaninus,
Anselmus Tubinus et Dopna Pellegrina. Agli anni 1277-1279 troviamo
registrate le famiglie che seguono; ripetiamo i soli cognomi: Mutus,
de Falco, Biscontus, de Pagano, Iubinus, Tassatore, Folleca, Carbonis,
Castaldus, Guercius, de Avella, de Presbitero, Paganus, Campaninus,
Cimina, de Sancto Georgio. Negli anni 1324-1325, e 1341-1342, erano
abilitati per l'esercizio della professione di medico,
rispettivamente, gli afragolesi Francesco di Iubino, e Stefano di
Oferio. Afragola dal
medioevo ai tempi moderni Possiamo
scorgere vestigia di feudalità ad Afragola, fin dal 1278, ai tempi
cioè di Re Carlo I. In un diploma di Re Carlo si legge di un tale
Paolo Scotto, che possedeva un feudo nel Casale di Afragola, nel luogo
detto «a la Fracta», in altro, si parla di una terra feudale sita
nella palude di Afragola, nel luogo che si dice « Accomorolum ».
Sotto Re Carlo II, in un altro diploma si parla di un tale Pandolfo
Gennaro, il quale possedeva beni feudali nel casale di Afragola, nel
luogo detto Arco Pinto. Lo stesso Carlo II aveva concesso in feudo al
suo medico, Raimondo di Odiboni, le cesine di Afragola per i servizi
resi, e da rendere alla camera reale. Le cesine erano, a quei tempi,
terreni una volta boscosi e poi resi alla cultura, col tagliarsi gli
alberi, col bruciare le ceppaie e i tronchi degli stessi. Il medico a
sua volta doveva corrispondere un certo quantitativo di zuccaro: «zuccari
albi boni rosacei libras decem donec vixerit». Più tardi queste
cesine furono comprate da Guelielmo de Brusato, che acquistava da
Giovanni Protomedico. L'indicazione della vecchia strada Cesinola è
ancora viva nel linguaggio del popolo; anche se si è provveduto, con
scarsa intelligenza, a cambiare la intestazione in Via Toselli. Le
Cesine dovettero quindi essere un feudo di una certa consistenza. Beni
feudali in Afragola possedette anche Ermigaldo de Lupian. Lo
sfortunato afragolese, fin da tempi antichi, sente proiettarsi, sul
povero paesello, l'ombra sinistra del feudatario avido sempre di
spillare danaro dalle modestissime risorse economiche della cittadina
agricola, che viveva esclusivamente del lavoro dei campi. Quanto duro
e quanto incerto nel raccolto, non è a dire. Sono pagine dolorose
nelle quali lessero i nostri nonni. E fu purtroppo la volta anche
della stessa Curia arcivescovile di Napoli. Al tempo di Re Roberto
(1309-1343) nei documenti si parlava di «annui census eidem
Neapolitanae Ecclesiae pariter debiti»; e un censo raggiungeva
l'onere «unciarum auri duarum». Sia l'arcivescovo di Napoli che la
chiesa metropolitana possedettero in Afragola censi e feudi rustici,
con abitanti addetti a questi fondi; e solo impropriamente abbiamo
spesso sentito chiamare costoro, «vassalli». Al tempo di Roberto,
gli afragolesi si erano già riscattati dall'arcivescovo napoletano.
Mai, quindi, la chiesa metropolitana o l'arcivescovo di Napoli si sono
intitolati baroni della parte feudale di Afragola. In dominio però dì
quella Chiesa erano due piccoli villaggi: S. Salvatore delle monache,
fiorente ancora verso il 1200, nel distretto di Afragola, e Lanzasino,
poi distrutto, ma precedette l'attuale Arzano. Non sappiamo quali
siano state le origini della feudalità afragolese; se cioè ebbe
luogo col nascere della città, o se vi si introdusse per
l'incorporazione di paesi ad essa successivamente aggregati. Una cosa
è certa, che cioè non tutta Afragola fu feudale, ma solo parte di
essa, con molta probabilità quella parte dove si stendevano le due
chiese, quella di S. Giorgio e l'altra di S. Marco. Infatti, nel
distretto della parrocchia di S. Giorgio si trovava il palazzo
baronale, al cantone della strada detta di Avignone, più tardi
trasferito nel castello, presso la stessa chiesa di S. Giorgio, di cui
tuttora esiste la gran parte, anche se ha subito varie trasformazioni.
Quando si parla di parte feudale, il discorso si fa, in un certo
senso, piuttosto intricato e difficile. Comunque, tra i vari
possessori del feudo, si fa il nome del salernitano Tommaso Mansella.
Questi, a sua volta, vendeva a Roberto Conte di Altavilla, Afragola e
Marianella. Afragola fu posseduta dal conte di Trivento, il quale, col
patto «de retrovendendo», vendeva poi a Gualtieri Galeota; fu
posseduta ancora da Marino De Martino, fratello uterino di Errico
Dentice, che mori senza prole, ed ebbe «certas terras» in Gesualdo
ed in Afragola. Tali vicende della parte feudale si inseriscono in un
arco di tempo piuttosto breve, cioè dal 1337 al 1350. Si tratta, nel
caso nostro, di semplici tenute feudali senza abitanti, o anche di
qualche locus abitato, sito nel territorio di Afragola, ma distaccato
dal medesimo comune. In effetti poi le cose stavano diversamente per
la vera parte feudale di Afragola, che la famiglia di Durazzo, verso
il 1337, comprò dalla famiglia d’Ebulo; e che, nel 1381, Carlo III
di Durazzo, re di Napoli, vendette alla famiglia Capece-Bozzuto.
Questa farmiglia, per circa due secoli, fu in possesso della parte
feudale. Nel 1576 fu quella obbligata a venderla alla medesima
Università di Afragola. Nella nota esibita da Paolo Bozzuto per la
vendita si fa menzione del vecchio castello afragolese, che si
definisce «commodo... et grande», per 5000 ducati; per il quale
prezzo il Comune di Afragola concordò l'acquisto, segno che dovesse
essere allora in ottimo stato. Il Castello formava come una grande
isola, protetta dà torrioni e fossato. Eliminando quest'ultimo, fu
poi sistemata l'ampia rotabile, sulla quale guarda la imponente chiesa
di S. Giorgio. Più tardi, il Comune fu costretto ad alienare parte
del castello a favore di «particolari », per private abitazioni.
Circa la terza parte del castello, pervenne nelle mani della famiglia
Grossi, e poi, per ducati 1098, dal parroco Russo della chiesa di S.
Giorgio, nel 1685. Dal
prezzo pagato risalta il pessimo stato dello stabile. Nel 1690 la
Parrocchia alienava, per 1600 Ducati, la parte del castello alla
principessa Caterina Morra. Nel 1726, la famiglia Morra vendeva lo
stabile, ormai inabitabile, a Gaetano Caracciolo del Sole dei Duchi di
Venosa, per la somma irrisoria di 1000 D. Il Caracciolo rifece lo
stabile ab imis, e lo ornò fastosamente. Fece anche murare una lunga
epigrafe, nella quale ricordava che la regina Giovanna II
frequentemente venisse a distendersi nelle battute di caccia della
Selvetella, e si accompagnava, per l'occasione, al suo fedelissimo
favorito Sergianni Caracciolo, che Gaetano Caracciolo riteneva suo
chiaro antenato. Le vicende leggendarie, frequenti nel popolino,
attorno alla regina Giovanna, pare che debbano attingere, per gran
parte, alimento, da quel marmo; manca in merito una documentazione
storica. Alla fine del ‘700, lo stabile ancora una volta si ridusse
ad uno stato di abbandono. Questa volta ebbe considerevoli riparazioni
dal Sac. Ienco, che promuoveva ora la istituzione di un orfanotrofio,
approvato con regio assenso nel 1798. Nel 1805, il Sacerdote Ienco e i
fratelli Fatigati acquistavano dai Caracciolo del Sole, a titolo di
enfiteusi affrancabile, quella parte del Castello, per un canone annuo
di 153 ducati. Attualmente, accoglie una interessante istituzione
socio-educativa, diretta dalle Suore Compassioniste, ospitate ad
Afragola da un secolo. Cesare Capece Bozzuto, barone della parte
feudale di Afragola, è anche noto per la vertenza che ebbe con Angelo
Como, nel 1490; il Capece pretendeva di impedire la costruzione delle
case (che poi formeranno Casalnuovo), perché quelle sorgevano su un
territorio, che era di sua giurisdizione. E' chiaro che chi possedeva
la parte feudale di Afragola, si intitolava barone dell'intero Casale.
Così, nel 1305 Guglielmo Grappino o Glabbino, possedeva la parte
feudale di Afragola e vi costituì le doti di sua moglie, Giovanna de
Glisis. In una carta del 1313 si legge di questa donna: «Domina
Afragole Joanna de Glisis»; cioè Ioanna de Glisis era domina di
Afragola. Impossibilitati a tracciare, dettagliatamente, le vicende
della feudalità afragolese, possiamo appena fissare qualche punto:
Nel 1330 Nicola di Ebulo, conte di Trivento, teneva e possedeva «immediate»
dalla Regia Curia il Casale di Afragola, nella parte feudale; nel 1337
Nicola pensò vendere ad una società commerciale fiorentina, quella
di De Peruciis; il Sovrano, in giugno, aveva anche dato il suo assenso
per l'alienazione; che, con molta probabilità, mai fu portata a
realizzazione. In effetti, nel medesimo periodo di tempo, questa parte
feudale venne alienata a favore dei fratelli Carlo duca di Durazzo,
Ludovico e Roberto, i quali, nel 1337, comprarono da Nicola di Ebulo,
conte di Trivento, il casale di Afragola, sito nelle pertinenze di
Napoli; cioè, quella medesima parte del casale, che costituiva il
feudo. Carlo duca di Durazzo, uno dei tre compratori del feudo, aveva
sposata una sorella della Regina Giovanna I, di nome Maria e finì
giustiziato nel 1348, ad Aversa, per ordine di Ludovico Re
d’Ungheria, giunto a Napoli per rivendicare la morte del fratello
Andrea, soppresso proditoriamente nel castello angioino di Aversa, con
la supina acquiescenza della bella e fatale moglie Giovanna. Carlo,
figlio di Ludovico duca di Durazzo, aveva sposato Margherita, nipote
della Regina Giovanna I, e quindi la più prossima alla successione
del Regno. Divenuto intanto Re di Napoli, nel 1381, col nome di Carlo
III di Durazzo, d'accordo con la moglie Margherita, vendeva la parte
feudale di Afragola ereditaria «tanquam patrimonialem ex successione
quondam progenitricis eorum». Vendevano, così, alla famiglia
Capece-Bozzuto di Napoli, con pubblico istrumento, in data 2 maggio
1381. Avevano in quel periodo urgente bisogno di realizzare danaro per
difendere il Regno contro Ludovico duca d'Angiò, che tentava di
invaderlo. Quella vendita è ratificata e approvata anche da Giovanna
duchessa di Durazzo, la quale intervenne alla celebrazione dell'Istrumento,
per quei diritti che a lei potevano spettare. Il prezzo convenuto
ridotto alla moneta corrente (nella valutazione che il Castaldi ne
faceva nel 1830) ascendeva a circa 4500 ducati. Il documento fu
stipulato, in Castel dell'Ovo, il 2 maggio 1381. Giacomo, Giordano, e
Giovannello Capece-Bozzuto, fratelli, compravano, chiaramente, solo la
parte feudale di Afragola, mentre l'altra rimaneva in potere del Regio
Demanio. Giovannello, col figlio Nicola Maria, il 1° gennaio 1419,
per sovrana concessione della Regina di Napoli, Giovanna II, aveva
anche la giurisdizione della parte feudale di Afragola. A Nicola Maria,
nel 1465, successe il figlio Pompeo Capece-Bozzuto. Nel 1490 venne in
possesso del dominio Cesare Maria Capece-Bozzuto. Nel 1513 a Cesare
seguì Giovanni Capece-Bozzuto. Nel 1548 a Giovanni succede Trojano
Capece-Bozzuto; nel 1557, a Troiano successe Ludovico; nel 1571, a
Ludovico, successe Paolo Capece-Bozzuto, l’ultimo possessore della
parte feudale di Afragola. Nel 1575, Paolo Capece Bozzuto avanza
all'autorità viceregnale del tempo, una domanda, con cui voleva
comprare anche la parte demaniale della nostra Afragola, e nel
contempo fa una offerta di 7000 ducati per il Regio Fisco. L'università
di Afragola, mai avrebbe potuto consentire che ancora i baroni
avessero continuato a intitolarsi padroni dell'intero paese, e
avessero continuato a maltrattare i cittadini. Era questo il momento
opportuno per il riscatto, per riacquistare le libertà civili. E fu
la volta buona. Memore delle varie controversie, dibattutesi tra il
Barone e la Università (o Comune, come nel nostro gergo), l'Università
presenta l'offerta per la compera sia della parte demaniale, in ducati
7000, che per la parte feudale, nonché per i beni burgensatici, che
la famiglia Bozzuto possedeva sul posto, in ducati 20.000, onde
esimersi evidentemente da ogni eventuale molestia. L'offerta era stata
presentata da parte del Comune; ma, in data 22 dicembre 1575, il regio
Consiglio Collaterale, con apposito decreto ammetteva l'offerta già
fatta dal Bozzuto, dei 7000 ducati, offerti al R. Fisco per la compera
della parte demaniale di Afragola; ma soggiungeva che, se tra un mese
la Università di Afragola avesse offerto e depositato nel pubblico
banco la somma di ducati 27000 (vale a dire, 20000 ducati quale prezzo
della parte feudale e ogni altro fondo e diritto spettante al barone
Paolo Bozzuto, e 7000 ducati dovuti alla Regia Corte per la parte
demaniale), la stessa università avrebbe dovuto esser preferita nella
compera, e quindi l'intero casale avrebbe dovuto rimanere nel perpetuo
demanio. Il Comune adempie alla offerta e al deposito della somma in
parola; perciò il Collaterale, con decreto del 12 gennaio 1576,
dispone e fa obbligo al barone Paolo Bozzuto di vendere la parte
baronale con qualsivoglia altro diritto, il castello, e altri beni
posseduti in Afragola, secondo la nota medesima dallo stesso esibita
alla università del comune, per la somma di ducati 20000 richiesta, e
di fare le debite cautele. Con il medesimo decreto si faceva ordine
alla Regia Corte di vendere altresì alla stessa Università la parte
demaniale spettante alla medesima R. Corte per la somma di ducati
7000. In tal modo l'intero casale rimaneva nel perpetuo demanio; si
ordinava anche di stipulare le cautele corrispondenti. Queste, per
quanto riguardava il R. Fisco, furono stipulate il 1° febbraio 1576,
per notar Tommaso Agnello Ferretta. Da parte sua, il Comune di
Afragola stipula le cautele e paga a Paolo Bozzuto i 20000 ducati.
Nell'istrumento con la Regia Corte si conveniva ancora, espressamente,
che, ove mai per una imperiosa circostanza e molto grave motivo e non
senza una particolare ingiustizia, il Casale avesse dovuto esser altra
volta venduto, a ogni altro acquirente avrebbe dovuto esser venduto,
tranne ad appartenenti a rami della famiglia Capece-Bozzuto. Il
Chioccarelli accenna ancora ai vassalli di Afragola, che erano
sottoposti alla Chiesa arcivescovile di Napoli. Dobbiamo ricordare che
gli arcivescovi di questa chiesa non erano padroni dell'intero casale,
bensì solo dì una parte. Anzi, il nostro storico era della
convinzione che alcune famiglie afragolesi, o meglio alcuni uomini,
fossero stati vassalli della Chiesa di Napoli. Ma, quando scriveva il
Chioccarelli, la Chiesa napoletana già non teneva più quei vassalli;
né si conosceva il come e il quando in cui li avesse perduti. Ma
possedeva immense ricchezze terriere, delle quali tuttora permane la
triste memoria. Di questo argomento vogliamo spendere un più ampio
cenno. Siamo dinanzi ad un episodio che merita di essere considerato
nel suo giusto valore. Il Chioccarelli ci informava che in Afragola si
trovassero alcuni vassalli della Chiesa Cattedrale di Napoli, e
riferiva che l'arcivescovo Ajglerio nel 1279 avesse avuto controversia
circa il pagamento dei tributi dovuti al Regio Fisco. Dai quali
tributi l'arcivescovo aveva sostenuto dovessero esser esenti i suoi
vassalli, tra i quali sono da menzionarsi quelli di Afragola. L'Ajglerio
pertanto aveva potuto ottenere che alcuni altri vassalli, in stato di
carcerazione, fossero stati rimessi in libertà, e non affatto
molestati per il pagamento dei tributi, fino a quando la questione non
fosse stata regolarmente decisa. Nel medesimo tempo, l'arcivescovo
aveva potuto ottenere dal re Carlo Il che avesse ordinato che animali
e altri beni, messi sotto sequestro, in danno di quei vassalli,
venissero restituiti ai medesimi proprietari, ma con una cauzione. I
rapporti tra l'arcivescovo di Napoli ed il Re di Napoli vanno,
adeguatamente e opportunamente, chiariti. Giacché dobbiamo ricordare
che Carlo I d'Angiò aveva ottenuto da Papa Urbano IV la investitura
di Re di Napoli, nel 1266, a patto però che, annualmente, dovesse
versare nelle casse della Sede papale la somma – non certo
indifferente a quei tempi, anzi addirittura scandalosa – di ben
40.000 ducati. Ogni ducato corrispondeva, nella valutazione del tempo,
e anche più tardi, a lire 4,20. Ma una somma di quei tempi, in
ragione di 170 mila lire, era una autentica estorsione, una rapina.
Non vi erano acque tali da soddisfare questa santa sete. Ma il Sovrano
mai avrebbe potuto mantener fede a questo impegno che lo vincolava nei
riguardi della Sedia papale. Fu allora che venne ad un accordo con
l'arcivescovo di Napoli – era allora vescovo, Mons. Bernardo
Caracciolo – per contrarre un debito in solutum, per once 200 di
oro. In cambio cedeva al Caracciolo, come vassalli, civiliter tantum,
gli abitanti della villa delle fragole. Una triste pagina di storia,
sulla quale avremmo voluto far calare il velo della cristiana carità
e comprensione; ma ce lo impediva il nostro dovere coerente e
responsabile di studiosi ed elaboratori di cose storiche.
|
Casoria
(estrato
da sito internet)
Il
nome di Casoria, si ritiene abbia origine dalla definizione Casa
Aurea, poi diventata Casaurea, e successivamente Casoria. Secondo
alcuni Casoria deriverebbe invece da "Casa Mauri". Il
nome appare comunque per la prima volta in una cronaca dei Duchi
di Capua scritta da un anonimo nel 948-949. Casoria è
indubbiamente una delle più fiorenti cittadine della
"Campania felix". Adagiata in una fertile pianura
attaccata al territorio metropolitano, in vista del Vesuvio e
della prima giogaia degli appennini, essa non è nuova ai fasti
opimi dell’agricoltura e del commercio, anzi fin da epoca remota
è stata una perla floridissima della nostra lussureggiante
regione. Poche tracce sono conservate oggi dal più remoto passato
del primo nucleo ove attualmente sorge Casoria. Tra queste è una
lastra di marmo con epigrafe greca e latina risalente al 194 d.C.
forse copertura tombale venuta alla luce da scavi casuali nella
contrada Carbonella e conservata oggi nella sala epigrafe del
Museo di Napoli. Da questa lastra si deduce che in quel
lontanissimo periodo il luogo doveva essere addetto a riunioni
mistiche di un collegio di donne celebranti i misteri della dea
TELBIA CASTIA. Dall’epigrafe risulta inoltre la costruzione di
un tempio dedicato ad Artemide (particolarmente venerata a
Napoli). Un antico documento storico rinvenuto è la lapide del
sarcofago del guerriero Iacopo da Fano, che, venuto in Casoria al
seguito di Innocenzo IV nel 1254, morì nel 1281 e fu sepolto in
una Cappella che sorgeva sullo stesso luogo dell’attuale chiesa
di S. Benedetto. Si può dire che le origini di Casoria risalgono
al V secolo d.C. Da importanti documenti storici esistenti nella
Biblioteca della Badia di Montecassino si rivela che questo
fertile territorio, chiamato "agro gentiano" fosse di
proprietà della famiglia senatoriale romana degli Anici, donato
dal Senatore Equizio Anicio, padre di S. Mauro, attuale protettore
di Casoria, a S. Benedetto da Norcia, con atto di donazione del
15/07/529. Dopo la morte di S. Mauro, Monaco Benedettino, i
religiosi di Montecassino, recandosi a Casoria, ogni anno, per il
raccolto, edificarono una Cappella in onore di S. Mauro per la
celebrazione dei loro riti. Più tardi sorse un’altra chiesa,
poco lontano, in onore di S. Benedetto. In seguito, i Benedettini,
perdettero quel vasto territorio, lo riebbero, e nell’anno 924
lo perdettero definitivamente, ed il campo "Gentiano"
venne frazionato e venduto. Presso la biblioteca Nazionale di
Napoli, esistono libri storici da cui risulta che diversi sono
stati i feudatari che hanno dominato su questo territorio, allora
di 4000 moggia di terreno, e cioè, Isabella, moglie di Giovanni
de Cipolla; Carlo di Sanframondo; Giacomo di Costanzo; Lucio De
Sangro e Lucrezia Brancaccio. Ma, in tali e tanti passaggi di
dominio, gran parte del territorio fu perduto ad eccezione di una
fertilissima zona che tuttora conserva il Comune di Casoria,
limitrofa a Ponticelli (Sez. di Napoli) e che si estende fino alla
frazione Arpino, limite di confine con Napoli. Durante il periodo
Longobardo il territorio gentiano fu tolto ai religiosi cassinesi,
frazionato e venduto a privati e una sola parte fu conservata e
ceduta al Comune di Casoria. In quel tempo inoltre, venivano
chiamati Casarii gli abitanti di rudimentali capanne; queste
ultime venivano dette "Casuri" che significò, appunto
"Case povere". Ciò, quindi, fa supporre che il primo
nucleo abitato fosse costituito da qualche gruppo di case
rustiche, capanne di paglia e di saggina, tutt’al più con base
di pietra come se ne costruirono fino al 1860. Nel Medioevo il
villaggio di Casoria divenne feudo, passando dal vassallaggio all’Arcivescovo
di Napoli nel 1279 alla proprietà di vari signori; nel 1428
Casoria faceva parte di un unico feudo con Casignao e Olivola.
Dopo il 1580 probabilmente i cittadini di Casoria riscattarono la
loro patria dal gioco baronale e si aggregarono al Real Demanio.
Secondo quanto riportato da Paone, nella "Appendice alla vita
di S. Mauro", nel 1631 il territorio di Casoria fu messo all’asta
essendo stata decretata, dal Vicerè Spagnolo di Napoli la vendita
di terre e villaggi del Napoletano. Gli abitanti del villaggio
(trecento famiglie) tuttavia si ribellarono a tale imposizione
accettando invece di pagare una forte somma per il loro riscatto
(pari a dodicimila ducati) A quel tempo Casoria aveva 1600
abitanti e faceva parte dei numerosi "casali" dell’
"ager neapolitanus" dei quali, nel periodo vicereale,
era frequente la vendita a privati per rimpinguare le finanze
dello Stato. La feudalità si estende realmente solo alla fine del
XVIII secolo; durante il settecento, infatti, si avvicendarono al
possesso di Casoria le famiglie SANGRO e RONCHI. Giulio Comite,
regnando Carlo III di Durazzo, acquistò il feudo che più tardi
passo a Fabio Capece Galeota. Fu riscattata la seconda volta e
definitivamente dal casoriano Giovanni Pisa, Sindaco dell’epoca,
con istrumento 15/4/1631 del Notaio di Corte Massimini Passari,
con l’intervento di don Ferdinando Afan Enriquez de Ribera, duca
di Alcalà, Vicerè del Regno di Napoli, Giulio Comite, Giovanni
Pisa e il Deputato D. Donato Ferrara. I dintorni immediati di
Casoria fino all’anfiteatro collinoso, dal medioevo al secolo
XIX, furono paludosi e malarici, tanto che il Lautrec, accampato
col suo esercito, in questo territorio nell’assedio di Napoli
–1528- vi perdette due terzi dei suoi soldati ed egli stesso
morì. Ma le paludi furono bonificate al principio del 1800 con
una rete di canali di 43 Km ed i campi si resero ancora più
fertili. Casoria era un territorio di 4.000 moggia, le
strade alquanto larghe e selciate e non mancavano palazzotti di
mediocre fattura. L’economia era fondata essenzialmente sul
commercio dei vini e sulla produzione della canapa. UNA
"CASA D'ORO" NELL'ANTICA LIBURIA : Casoria,casale
regio di Napoli,è situata sulla strada che da Napoli conduce a
Caserta,nella pianura vulcanica compresa tra i Campi Flegrei ed il
Vesuvio chiamata nell'antichità Liburia. Il territorio
occupava il centro di una zona che ,grazie alle bonifiche del XIX
secolo,fu liberata dalla malaria e fu trasformata in un'area ricca
di colture ortive. Il nome della città appare per la prima
volta in una cronaca dei conti di Capua,scritta da un anonimo nel
948-949,ma quasi sicuramente l'abitato esisteva già prima di tale
data. Alcuni storici annoverano Casoria fra i villaggi sorti
duranta la dominazione longobarda. In una carta dell'11
maggio 994 conservata nell'Archivio di San Sebastiano a Napoli ed
in altri documenti risalenti fino al XIV secolo la città viene
chiamata Casaurea, "casa d'oro,così detta,secondo alcuni
studiosi locali,per l'abbondanza di grano che arricchiva le sue
fertili campagne al tempo della mietitura. A questa etimologia
sembra alludere anche il distico latino collocato in calce allo
stemma del paese: "Auro potuit flavesece rura colunus ex auro
potui condere et ipse domum" ovvero: "Il colono che
insegnò alla campagne a biondeggiare come l'oro potè egli stesso
dall'oro costruire la sua casa". INTORNO AL MONASTERO:
Secondo il cardinale Alfonso Capecelatro la città fu fondata nel
VI secolo dell'era cristiana,quando San Benedetto e il suo
discepolo San Mauro edificarono in questa zona due oratori e un
ospizio monastico.I coloni costruirono le loro case intorno ai due
oratori e all''ospizio benedettino: sorsero prima due
parrocchie,una dedicata a San Mauro e l'altra a San Beneddetto,e
in seguto a due piccoli agglomerati urbani
che,unificatosi,formarono la città di Casoria. Come tutti i
casali napoletani,anche Casoria era un operoso centro agricolo e
artigianale che viveva prevalentemente di commercio con Napoli:
ogni giorno i contadini "scendevano" nella metropoli
partenopea per offrire uova fresche,pane di casa,vino prezioso e
delicato. Nel corso del Medioevo Casoria subì
diversi passaggi di proprietà.In un documento del 1098 si ha
notizia della donazione di alcune terre,tra cui Casoria,fatta da
Riccardo II,principe di Capua al monastero di San Biagio di Aversa.In
una carta del 1115 si fa riferimento alla vendita di questi
territori "per duecento tarì d'oro" da parte di
Regale,figlia di Sinibardo, a Giovanni de Alberada. Anche in epoca
angioina la città era sottomessa: nei registri che abbracciano
gli anni 1273-1279 si accenna a un provvedimento di sequestro di
animali e di altri beni ai contadini in occasione di un tributo
che doveva essere pagato alla Magna Curia di Napoli. Negli
anni 1327 e 1328 Casoria,insieme ai villaggi di Casignano e
Olivola,ora distrutti,risultava posseduta da Isabella consorte di
Giovanni di Cippoia.Nel 1352 il feudo era governato da Matteo di
Sanframondo che aveva due figlie sposate con Giovanni Pacifico e
Galeazzo Del Tufo:alla sua morte il feudo fu diviso.Da un registro
del 1415 si ha notizia di un Carlo San Frjmondo che,sotto il regno
di Giovanna II ,fu padrone di questo feudo,nel quale svolse la
funzioni di capitano a vita.Ancora nel 1452 il casale passò a
Giacomo di Costanzo da Aversa e nel 1500 fu trasmesso a Lucio di
Sagro,successore della famiglia del Tufo e a Giuseppe Pacifico.Nel
1529 ereditò queste terre Placido di Sangro,al quale successe
Giovanni Antonio Pacifico che,nel 1561,vendette il feudo a
Lucrezia Brancaccio per 5200 ducati. I RAPPORTI COL REGIO DEMANIO:
Negli anni successivi Casoria attraversò vendite e
donazioni,passò a vari padroni fino al 1622:in quell'anno il
Casale si riscattò dal dominio del barone nicola di Sangro,aggregandosi
al Regio Demanio.Ma pur essendosi liberata dal giogo baronale,Casoria
fu ancora offerta al migliore acquirente nel 1630;con la vendita
dei casali infatti i vicerè spagnoli ricavavano somme ingenti che
venivano utilizzate per sovvenzionare le sfortunate imprese
militari del re Filippo di Spagna. I Casoriani dovettero fare
enormi sacrifici per raccogliere i 6000 ducati da consegnare alla
casse del vicerè e finalmente il 9 Marzo 1631,riuscirono a
comprare la loro libertà e ad aggregarsi al Regio Demanio.
Nonostante l'impegno assunto dal vicerè a non mettere mai
più all'asta il casale,esso fu venduto prima ad Eleonara
Mansfeldi e successivamente a Luigi Ronchi:ultimo possessore fu
Fabio Capece Galeota,presidente della Regia Camera.Solo con Carlo
III di Borbone la città riacquistò la sua libertà diventando
per sua altitudine di 70 metri sul livello del mare e la sua aria
fresca ,un rinomato luogo di villeggiatura. La sua
importanza crebbe ancora con il decreto del 28 gennaio
1809,divenne uno dei quattro capoluoghi di distretto della città
di Napoli.La città fu inoltre servita dalle prime linee ferroviarie:quella
di Capua, che utilizzava il più possibile la depressione del
Sebeto, e quella per Aversa. |
Acerra
(estrato
da sito internet)
Acerra
fu probabilmente di origine osche, come molte altre città della
Campania interna, compresa la non lontana Suessula. Da quest'ultima
essa distava poche miglia e dal suo territorio era separata dal corso
del fiume Clanio.Le due città ebbero vita autonoma e destini molto
diversi.Suessula, i cui resti sono in parte visibili in località
"bosco di Calabricinto" una volta distrutta durante
incursioni saracene (circa 880 d.C.) fu abbandonata dai suoi abitanti
e non più ricostruita.Solo Acerra ha conservato fino ad oggi lo
stesso sito ed il nome (dal latino Acerrae è derivata la forma
medioevale Acerra).La città fece parte della dodecapoli etrusca
capeggiata da Capua insieme ad altre come Nola, Nuceria, Suessula, i
cui siti sono stati in larga misura identificati, anche se non tutti
urbanisticamente delineati.Sono basate sulla tradizione degli antichi
scrittori, soprattutto di Livio, le notizie della concessione della
"civitas sine suffragio" (332 a.C.), privilegio che Roma
riconosceva a città che avessero dato prova di fedeltà in momenti
particolarmente difficili (il pericolo, in quel tempo, era
rappresentato dai Sanniti).Annibale, nel 216 a.C., in cerca di alleati
contro Roma, non essendo riuscito a portare, con un'opera di
convinzione, Acerra dalla sua parte decise di punirla. Con l'assedio.
Gli acerrani, durante la notte, approfittando di varchi lasciati
incustoditi e delle tenebre, si rifugiarono in città rimaste fedeli a
Roma.I danni apportati dai cartaginesi furono notevoli. "Nocerini
ed Acerrani che cercavano (al ritorno) le loro case non le trovarono:
Acerra era stata in parte incendiata, Nocera distrutta; a Roma Fulvio
fece richiesta al Senato che agli Acerrani si permettesse di
ricostruire quanto era stato distrutto".Così nel 211, gli
Acerrani, stando alla tradizione liviana, ricostruirono la città con
l'aiuto dei Romani.Ma dove era la città ricostruita e dove quella
distrutta?Le recenti ricerche archeologiche effettuate nel quartiere
Maddalena sembrerebbero confutare la precedente tesi che Acerra
preromana si trovasse nell'area del quartiere Gravina, a nord del
Centro Storico: vi sono stati infatti ritrovati tratti di un muro di
cinta della città, databili all'incirca al IV sec. a.C.Per lunghi
anni Acerra sembra vivere la tranquilla vita di una città che
diventa" romana" a tutti gli effetti. La lingua e le
istituzioni sono improntate alla nuova cultura.Ma la guerra sociale
(90 a.C.), che insanguinò molte zone d'Italia e che si propagò in
Campania, dove mal si sopportava il giogo romano (centro della
ribellione era Capua), coinvolse anche Acerra. Venne ad assediarla
Papio Mutilo, attaccato, poi, dal console Lucio Giulio Cesare, presso
le mura.In seguito la città divenne Municipium e con la lex Julia
ottenne il diritto di voto nei comizi: ciò consentiva ai cittadini
Acerrani di accedere alle magistrature anche in Roma.Nell'anno 22
a.C., durante l'Impero di Augusto, Acerra fu assegnata in premio ai
veterani: divenne, perciò, colonia militare e perse ogni libertà.Come
colonia Acerra perdeva le ultime tracce della sua cultura autoctona
ma, in seguito, come Prefettura, dovette rinunciare anche alle proprie
leggi e al potere dei propri Magistrati: un Prefetto la reggeva
secondo leggi imposte da Roma.Nella Acerra del tempo era diffuso il
culto in onore degli dei egiziani Iside e Serapide, ai quali era
dedicato molto probabilmente un tempio, come riportano fonti
epigrafiche, le quali attestano anche la presenza di un tempio eretto
in onore di Eracle e di un anfiteatro, che l'archeologo A. Maiuri
ritenne di aver individuato nell'area sottostante il Castello dei
Conti, per la particolare pianta del medesimo.Ricerche condotte nel
1982 hanno consentito invece, di individuare, nell'ala delle vecchie
scuderie alcune strutture pertinenti alla scena di un teatro di III
sec. d.C.Per quanto riguarda i primi secoli del Medio Evo non si
riesce ad attingere sufficienti notizie.Nel 494 la città fu aggregata
a Napoli e molto più avanti fu dominata dai Longobardi, che vi
edificarono un Castello (826) distrutto dal Duca di Napoli, Bono.Subì
devastazioni da parte dei Saraceni (circa 881) e divenne, in seguito,
contea normanna (nel frattempo il Castello era stato ricostruito, come
indicano alcuni elementi decorativi venuti alla luce nei recenti
interventi di ristrutturazione e restauro). Conti in tale epoca furono
Goffredo, Ruggiero, Roberto e Riccardo di Medania.Figlia di Roberto fu
la regina Sibilia, acerrana, che andò sposa a Tancredi, re di
Napoli.In epoca sveva, feudatario fu, tra gli altri, Tommaso D'Aquino,
legato all'imperatore Federico Il.Poiché lungo sarebbe l'elenco dei
signori che nella fase angioina ed aragonese ressero la città, si
ricordano in particolare i conti delle famiglie Origlia e del Balzo
Orsini e il conte Federico d'Aragona, futuro re delle due Sicilie.In
seguito vi si trovano i De Cardenas, dal 1496 in avanti. Il primo
della famiglia fu Ferdinando, mentre Maria Giuseppe fu l'ultima,
infelice, contessa, morta nel 1812, due anni dopo che venne abolita ad
Acerra la feudalità. Era
già il periodo in cui, anche grazie alle bonifiche che vi erano state
condotte fin dagli inizi del '600, la città si andava espandendo.
|
Aversa
(estrato
da sito internet)
Fu
donata in feudo nel 1030 dal conte di Napoli Sergio IV al normanno
Rainulfo Drengot che, costruì il castello e le mura di cinta, ne fece
la prima contea autonoma realizzata in Italia dai Normanni e nel 1038
ebbe l'investitura imperiale da Corrado II. Sede vescovile nel 1050,
vi furono istituite scuole grammaticali. Attivo centro culturale,
incrementò i propri commerci soprattutto dopo che i conti di Aversa
divennero anche principi di Capua nel 1058. Passata nel secolo XIV
sotto il dominio angioino, vi fu costruito un castello.Qui, nel 1345,
fu strangolato Andrea d'Ungheria; tre anni dopo il fratello Ludovico
vi fece trucidare tutti i sospetti assassini. Coinvolta nelle lotte
per la conquista del trono di Napoli, cadde nelle mani di Alfonso I
d'Aragona nel 1440 e nel 1529 fu assediata dagli Spagnoli che
ottennero la capitolazione del marchese di Saluzzo, comandante delle
truppe francesi. Ad Aversa nacquero i musicisti Niccolò Jommelli e
Domenico Cimarosa. Nell'abitato sono conservati pregevoli monumenti
d'arte e di storia, in buona parte risalenti al periodo normanno. Fra
le opere più significative sono il duomo, eretto nel secolo XI,
ricostruito nel 1145 e parzialmente rifatto nel secolo XVIII, la
chiesa trecentesca di S.Maria a Piazza e quella barocca
dell'Annunziata.
Azolino
fu il primo vescovo intorno al 1050, come risulta dalla Bolla di
Callisto. In origine la Diocesi di Aversa, chiamata all'inizio anche
Atellana per l'inglobamento dei Casali appartenenti alle diocesi di
Atella e di Literno scomparse.
|
|
|
|
|
|
|