L’Asprino
D’Aversa
(estratto
da sito internet)
Dal
Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli, di Lorenzo
Giustiniani del
1797-1816, si evince che Crispano era luogo di vini asprini;
questo vitigno
Doc della campana, venne importato dalla Francia da Roberto D'Angiò
nel Medioevo per farlo impiantare nelle terre aversane.
Il sovrano del regno di
Napoli voleva produrre uno spumante da servire a corte al posto dello
Champagne che a quei tempi era difficile da trasportare.
Oggi l'Asprinio può
fregiarsi della Doc nelle versioni Spumante e Tranquillo, ha un colore
giallo paglierino con leggeri riflessi verdolini e in bocca si
distingue per il gusto spiccatamente aspro.
La zona di
produzione è Aversa,
provincia di Napoli e Caserta.
La gradazione alcolica è di
11 GRADI. Il
colore è paglierino
più o meno carico. Il profumo è intenso, fruttato caratteristico.
Il sapore è fresco,
secco. La temperatura
di servizio è 8-10
°C. L’età ottimale è 12-18
mesi.
Gli
Accostamenti sono: insalate di mare, pesce, pizza,
ottimo come aperitivo Tipo
di vino: Tranquillo da
pasto
La
Pizza
(estratto
da sito internet)
Dai vicoli di Napoli
presto la pizza conquistò la Corte Reale. Secondo certi aneddoti,
nonostante le notizie che abbiamo sono veramente contrarie, Ferdinando
IV, Re di Napoli, spesso frequentava le pizzerie della città, anche
se questo significava trasgredire all'etichetta di corte. Sua moglie,
la Regina Maria Carolina d'Asburgo Lorena, molto golosa di pizze, fece
costruire un forno speciale nel Palazzo Reale di Capodimonte, per
cucinare e servire pizze agli ospiti. Verso il 1830, un altro re di
Napoli, Ferdinando II, invitò a corte per una festa il pizzaiolo
Domenico Testa, proprietario di un negozio, incaricandolo di preparare
le sue famose pizze. Col successo Testa ottenne il titolo molto ambito
di "monzù", cioè "monsieur", che era attribuito
solo alle persone rispettabili. Secondo le cronache del tempo,
possiamo sorprendere Alessandro Dumas mentre cita la pizza nelle
pagine che scrisse nel 1835 mentre viaggiava: "La pizza ha una
forma circolare ed è ottenuta lavorando la stessa pasta del
pane".
E ancora: "La pizza
può essere condita con olio, grasso di maiale, formaggio, pomodoro,
piccoli pesci". Verso la metà del 19° secolo nell'opera di De
Boucard "Usi e costumi di Napoli", la pizza appariva come
una delle specialità napoletane più popolari, elaborata in
differenti varietà: con aglio e olio, con formaggio grattugiato e
basilico, con pesce e, per lo meno, con mozzarella.
E'
da ricordare, tuttavia, il famosissimo episodio della nascita della
pizza Margherita, anche se già esisteva, chiamata in modi diversi,
precedentemente. Nel 1889, Umberto I, Re d'Italia, e la Regina
Margherita di Savoia, in vacanza a Napoli, invitarono a palazzo il più
popolare dei pizzaioli, chiamato Raffaele Esposito, per gustare le sue
specialità.
Il cuoco preparò tre
tipi di pizza: una con grasso di maiale, formaggio e basilico, una con
aglio, olio e pomodori e un'altra con mozzarella, basilico e pomodori,
onde onorare la bandiera italiana. Alla regina piacque così tanto
quest'ultimo tipo di pizza che inviò al pizzaiolo una lettera per
ringraziarlo: "Vi assicuro che le tre pizze che avete preparato
erano davvero squisite". Raffaele Esposito dedicò la sua
specialità alla regina e così questo è il modo in cui nacque la
pizza Margherita.
La
leggenda del ragù
(estratto
da sito internet)
La leggenda legata al
famoso ragù napoletano, decantato anche dal grande de Filippo in una
sua poesia dal titolo appunto 'o rrau'.
A Napoli alla fine del
1300 esisteva la Compagnia dei Bianchi di giustizia che percorreva la
citta' a piedi invocando "misericordia e pace".
La compagnia giunse
presso il "Palazzo dell'Imperatore" tuttora esistente
in via Tribunali, che fu dimora di Carlo, imperatore di Costantinopoli
e di Maria di Valois figlia di re Carlo d'Angio'.All'epoca il palazzo
era abitato da un signore che era nemico di tutti, tanto scortese
quanto crudele e, che tutti cercavano di evitare. La predicazione
della compagnia convinse la popolazione a rappacificarsi con i propri
nemici, ma solo il nobile che risiedeva nel "Palazzo
dell'Imperatore" decise di non accettare l'invito dei bianchi
nutrendo da sempre antichi e tenaci rancori. Non cedette neanche
quando il figliolo di tre mesi, in braccio alla balia sfilò le manine
dalle fasce ed incrociandole grido' tre volte: "Misericordia e
pace".
Il nobile era accecato
dall'ira, serbava rancore e vendetta, ed un giorno la sua donna, per
intenerirlo gli preparo' un piatto di maccheroni. La provvidenza
riempi' il piatto di una salsa piena di sangue. Finalmente commosso
dal prodigio, l'ostinato signore, si riappacificò
con i suoi nemici e vesti' il bianco saio della Compagnia.
Sua moglie in seguito
all'inaspettata decisione, preparo' di nuovo i maccheroni, che anche
quella volta come per magia divennero rossi. Ma quel misterioso
intingolo aveva uno strano ed invitante profumo, molto buono ed il
Signore nell'assaggiarla trovo' che era veramente buona e saporita.
La chiamo' cosi' "raù"
lo stesso nome del suo bambino.
La
tradizione dei dolci natalizi a Napoli
(estratto
da sito internet)
Le
Zeppole
Tipiche della costiera
sorrentina, sono ciambelline fritte preparate con una pasta a base di
farina acqua latte ed anice, e condite con miele, diavulilli (per chi
non lo sapesse sono i confettini piccini e coloratissimi che ci
riportano alla mente le decorazioni dei nostri alberelli di natale) e
scorzette d'arancia.
Tra i mestieri
napoletani esisteva anche quello della zeppollara che in strada
friggeva queste ciambelle in strutto o grasso animale e le serviva
ricoperte di miele.
Gli
Struffoli
Questo è un tipico
dolce natalizio, la cui forma è
a base di sfere ricoperte di miele e dai multicolorati diavulilli.
L’origine degli
struffoli è greca: il nome,
deriva da strongulos, cioè pasta a forma sferica, arrotondata o
incavata; anche questa preparazione è consolidata nella tradizione
pasticciera napoletana, splendide erano le confezioni ad opera delle Monache dei conventi della
Croce di Lucca e di quelle di S. Maria dello Splendore.
Le
Paste di mandorle o Pasta reale
Sono altri dolcetti che
trovano la loro origine nei conventi napoletani, dai delicati colori
pastello che vanno dal rosa, al verde al giallino, preparati con
mucchietti di paste di mandorle sistemati su di un ostia tagliata che
serve da base e dalle forme piu' svariate.
Dolci della vigilia di
natale, le suore li preparavano rispettando la dieta di magro perche'
erano preparati con farina zucchero, spezie e mandorle finemente
tritate e non era utilizzato alcun grasso animale, essendo il loro
condimento ottenuto esclusivamente dall'olio premuto dalle stesse
mandorle.
L'origine del nome pasta
reale pare risalga all'epoca di Re Ferdinando IV.
Si racconta che il Re si
recò un pomeriggio in visita al convento delle suore di San Gregorio
Armeno e, dopo aver visitato la cappella ed il convento, fu
accompagnato dalle sorelle nel refettorio, ove su un grande tavolo era
preparato un buffet in cui facevano bella mostra di se aragoste, pesci
arrostiti, polli e fagiani oltre a della splendida frutta.
Il Re era un gran
mangiatore ma si scusò dicendo che da poco aveva finito di pranzare e
non sarebbe stato il caso riaffrontare un pasto del genere. Ma le
suorine con sguardi di complicità pregarono Re Ferdinando di degnarsi
di un assaggio, quale fu
la sorpresa del sovrano quando si accorse che tutto quel Ben di Dio
non erano altro che dolci efficientemente scolpiti con la pasta di
mandorle e certosinamente dipinti a mano.
Questa tradizione di
pasta reale è rimasta oggi soprattutto in Sicilia dove ci sono degli
abilissimi artigiani di pasta martorana o reale.
I
Mustacciuoli
Dalla forma romboidale
ricoperti di glassa al cioccolato, il loro nome è legato alle antiche
preparazioni contadine che utilizzavano il mosto, mustacea era infatti
il loro nome latino, col
quale venivano preparati per essere resi più dolci.
I
Susamielli
A forma di 'S' i
Sosamielli venivano impastati con del miele liquido ed anticamente
venivano distinti in sosamiello nobile, preparato con la farina bianca
e v'era l'usanza di offrirlo alle persone di riguardo, il sosamiello
per zampognari, impastato con farina ed elementi di scarto, che veniva
offerto al personale di servizio ai contadini in visita e a coloro che
venivano a suonare in casa, ed in ultimo il sosamiello del buon
cammino imbottito con la marmellata di amarene e che veniva offerto ai
soli religiosi.
Le
Sapienze
Devono il loro nome al
Convento di S.Maria della Sapienza, in cui venivano egregiamente
preparate dalle Clarisse.
I
Divinamore
A base di pan di Spagna
ricoperto di colorata glassa rosa traggono il loro nome dalle
Religiose dell'omonina comunità di clausura.
Il
Roccocò
A forma di ciambella,
adatto a chi ha denti solidi, trae
la sue origini invece dal francese rocaille per la barocca e
rotondeggiante forma di conchiglia.
La
legenda della Pastiera Napoletana
(estratto
da sito internet)
L’origine della
Pastiera è antichissima e proviene da culti pagani per celebrare
l’arrivo della primavera.
La leggenda dice che la
sirena Partenope aveva scelto come dimora il bellissimo golfo di
Napoli e da lì cantava con voce melodiosa e dolcissima.
La gente allora per
ringraziarla di questo meraviglioso canto le portò dei doni, sette
doni per l’esattezza, come le sette meraviglie del mondo, ognuno dei
quali aveva un significato:
1) la farina, simbolo di
ricchezza,
2) la ricotta, simbolo
di abbondanza,
3) le uova, simbolo di
riproduzione,
4) il grano cotto nel
latte, simbolo della fusione del regno animale e di quello vegetale,
5) i fiori d’arancio,
profumo della terra campana,
6) le spezie, omaggio di
tutti i popoli
7) lo zucchero per
acclamare la dolcezza del canto della sirena.
La sirena gradì i doni,
ma nel raccoglierli li mescolò in un amalgama che le lasciò tra le
mani la prima pastiera di cui fu l’inconsapevole autrice.
La pastiera è entrata
poi nella tradizione cristiana diventando il dolce con cui festeggiare
la Santa Pasqua.
Le suore
avevano una modalità di preparazione tutta - diciamo -
particolare: si vociferava – voce di popolo, voce di Dio – che le
monache lavorassero la pasta in maniera alquanto insolita: quelle che
disponevano di natiche e fianchi più floridi, si sedevano sopra
l’impasto che era stato messo sui sedili di marmo del loro chiostro
e, sussurrando devote preghiere si dimenavano a lungo e ritmicamente
permettendo così alla pasta di crescere rigogliosa.